Come è stra noto, qui di politica parliamo pochissimo. Forse sbagliamo anche, a ben pensarci, ma è sempre stato così a parte alcune eccezioni.

Questa lettera di Gianni Oliva all’indomani del flop dei referendum fortissimamente voluti dalla CGIL e dal PD secondo me è la perfetta rappresentazione di quello che accade a ‘sinistra’ della politica italiana.

Leggetela: merita.


Non ho firmato per il referendum, perché era ovvio come sarebbe finita; poi sono andato disciplinatamente a votare, consapevole che almeno bisognava limitare i danni.

Ma lo sapevano tutti che sarebbe finita così, sin dall’inizio: Landini e la Cgil, Schlein e il Pd in tutte le sue “anime” (vere o presunte), Conte e Fratoianni.

Per capirlo non serviva la palla di cristallo: bastavano i numeri e il meccanismo elettorale.

La storia della Sinistra italiana non è solamente attraversata da irrigidimenti ideologici che hanno provocato più divisioni che programmi: è anche attraversata da battaglie intraprese dai gruppi dirigenti non per vincere, ma per tutelare il proprio ruolo di potere interno. Non si spiega altrimenti la scelta del referendum.

Nel momento in cui si è incapaci di formulare un progetto credibile per raccogliere consenso e diventare maggioranza, si sventolano le bandiere identitarie per chiamare a raccolta l’elettorato fidelizzato.

Si trasforma l’antifascismo in uno slogan, chiedendo a La Russa abiure che, quand’anche ci fossero, non cambierebbero di una virgola l’esistente; si manifesta contro la politica di Netanyahu dopo un anno e mezzo dall’inizio dei massacri di civili; oppure si promuove un referendum politicamente suicida.

Così la Sinistra batte un colpo e le sue leadership si legittimano e tutelano. Ma perdono coloro che la Sinistra dovrebbe e vorrebbe rappresentare, perché certe sconfitte pesano e condizionano al di là dei numeri. La Destra può governare senza contrasto, mettendo insieme il liberalismo conservatore e il sovranismo xenofobo, navigando a vista tra Bruxelles e Trump: il flop, che l’opposizione è andata a cercare, diventa legittimazione.

Si tratta del vizio di un presente confuso, o di una tradizione consolidata?

Forse è ora di rileggere la storia della Sinistra anche alla luce di categorie scomode, a partire da quella dell’autoconservazione delle classi dirigenti, cioè del meccanismo attraverso cui un’élite in posizione di potere cerca di mantenere il proprio status e le proprie prerogative.

Generalmente di questo comportamento si dà una lettura socioeconomica, considerandola la reazione alle spinte verso la mobilità sociale e l’uguaglianza, che potrebbero mettere in discussione la posizione di chi detiene il potere.

Ma l’autoconservazione non è solo delle classi dirigenti sociali: è un’attitudine presente nelle istituzioni, negli apparti amministrativi, negli ordini professionali, in tutti i consorzi umani piccoli e grandi.

Con la differenza che quando si trasferisce all’interno di una comunità politica, l’autoconservazione ne compromette i progetti, spacciando per sfide aperte e ammantando di ideologia battaglie perse che solo strumentali. Che cosa ha motivato le scelte del 1998, quando il governo Prodi venne fatto cadere da Bertinotti 312 a 313, se non il presidio di un’area di voto marginale, ma funzionale al mantenimento del ruolo per quello spicchio di gruppo dirigente che operò la scelta?

Che cosa ha spinto l’allora maggioranza ad evitare il voto anticipato e a logorarsi in governi asfittici se non l’autotutela degli eletti? E che cosa ha mosso i promotori e i sostenitori del referendum se non la ricerca di una visibilità politica che nascondesse la mancanza di progettualità?

Con questo risultato, a Sinistra hanno perso tutti: quelli che, in perfetta buona fede, hanno lavorato ai banchetti a raccogliere firme e a fare propaganda; quelli che guardano con inquietudine agli strizzamenti d’occhio a Musk e a Trump (prima a tutte e due: e ora a chi dei due?); quelli che continuano a pensare che la solidarietà, la libertà, la distribuzione delle ricchezze siano valori trasferibili in un programma di governo e non utopie del secolo scorso.

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