Da un paio di giorni a questa parte sta impazzando, nel webbe, il trend di “ghiblizzarsi”.

Ho deciso di cavalcare l’onda. O di sbatterci contro. Dipende dai punti di vista.

Ora, io sono una fan sfegatata del MAESTRO Miyazaki (a tal punto da essermi fatta tatuare la maledizione di Howl). Quindi la mia risposta a questa “moda” la lascio al buon Marco, il protagonista di uno dei film del caro Hayao.

“E questo è tutto quello che ho da dire al riguardo.” (cit.)

Ma voglio partire da questo (e dalla nuova moda, che ho visto pochi giorni fa, di chiedere all’AI di rendere la propria persona un’action figure).

Parto larga. Quindi mettetevi comodi.

Come diceva una famosa comica, “siccome che” sono una persona abitudinaria, sono solita iniziare le mie giornate lavorative ascoltando podcast.

UN podcast. “Non hanno un amico”, di Luca Bizzarri (perdoname, Collateralmente, por mi vida loca).

Qualche settimana fa, uno dei temi sui cui si soffermava era quello del virale.

Come ho scritto nel mio post passato, pare che io lavori con i social, la comunicazione.

Il problema è che, io, i social, non li sopporto.
C’è stato un momento in cui avrei voluto cancellarmi da tutte le piattaforme (e mantenere solo il buon Instagra, per una mia passione personale per le foto. Che poi le faccia di dubbio gusto, questo è un altro problema).
Invece, per deformazione professionale, sono ancora qua. Oh, già (cit. Vasco piemontese).
A bestemmiare, come un social umarell, per le centinaia di boiate che leggo/vedo.
OGNI. SANTO. GIORNO.

Ma poi ogni tanto ci metto il mio. E succede l’inaspettato.

Nelle scorse settimane ho pubblicato, come faccio ogni tanto, un pensiero su Threads, ma, a differenza degli altri, che spesso non vengono calcolati, questo ha fatto il boom, e per un paio di giorni sono diventata virale: prendevo spunto da un commento di un leone da tastiera, letto su Fb, in cui si diceva che l’esclusività, al giorno d’oggi, non era avere tatuaggi, bensì non averne. Da questo avevo creato il mio pensiero “La vera esclusività, oggi, non è non avere tatuaggi. E’ sapere la grammatica italiana. Scritta e parlata.”

Spesso scherzo sul fatto che vorrei diventare un influencer, per il semplice fatto che vorrei ricevere prodotti gratis dalle aziende (non mi farebbe in effetti schifo un bel Dyson o un pò di attrezzatura da montagna).

Ma è un pensiero che rimane lì: so benissimo di non avere le qualità (fisiche e creative) per esserlo. Ma soprattutto pecco di costanza: mi succede già nella vita lavorativa di tutti i giorni, figuriamoci nella vita “social”.

E ne ho avuto la conferma in quel paio di giorni in cui il mio thread è diventato virale: dover stare dietro a tutti i commenti, rispondere. No. Non fa per me.

E men che meno potrei passare il tempo a riprendere la mia vita (che, tanto virale, o interessante, non è), nè riprendere la vita degli altri.

Così come, per tornare all’inizio, il dover fare qualcosa (in questo caso, trasformarsi in un personaggio dello Studio Ghibli) “perchè lo fanno tutti”.

Ogni volta che mi appare il cosiddetto trend (per quanto, ogni tanto, ci possa cascare anche io) mi viene in mente un pezzo di sketch di Aldo Giovanni e Giacomo:


Luca Bizzarri arriva al punto di tutta questa viralità con una frase che renderei volentieri il mio nono tatuaggio: “a furia di diventare virali siamo diventati un virus”.

Chiudiamo il sipario.

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