Questo libro è arrivato all’improvviso il 30 dicembre a tarda sera. Ancor prima di leggere la trama sapevo che sarebbe stato uno di quei libri da tenere stretti. Ne ho avuto la conferma il giorno dopo, quando per 6 ore ho perso la cognizione dello spazio e del tempo talmente ero immersa nella lettura.
A 40 anni Fuani Marino vive la sua seconda vita.
Quello che ha segnato un prima e un dopo si può racchiudere nella sua frase:
“E poi sono caduta, ma non sono morta”.
Un pomeriggio di luglio, Pescara sullo sfondo, una figlia nata da pochi mesi, la depressione post-partum e una caduta dal quarto piano. L’altezza non basta per porre fine alla sua vita: Fuani Marino sopravvive, di più, rimane cosciente nonostante i traumi fisici. Dopo la corsa in ospedale e la situazione critica dei primi giorni, comincia un lungo percorso di riabilitazione e terapia. Si arriva a una diagnosi che se non risponde a tutti i perché, almeno identifica una condizione dandole un nome: disturbo bipolare.
Le pagine del libro raccontano la vita della donna in un modo particolare: gli aspetti più personali vengono svelati senza mai dare un senso di intimità. La narrazione biografica si mescola allo stile saggistico producendo un effetto straniante: in un paragrafo segui il racconto della riabilitazione e in quello dopo leggi l’interpretazione sociologica del suicidio teorizzata da Durkheim. Seguono citazioni di altre opere letterarie, accostamenti con personaggi realmente esistiti o letterari in cui Marino si identifica e trova aspetti di sé. Philip Roth, Joan Didion, Amos Oz, Sylvia Plath, David Foster Wallace, J.D Salinger, Lev Tolstoj, Susanna Kaysen… c’è il bisogno di trovare dei pari con cui confrontarsi; di scoprire che già altri avevano dato voce ai pensieri che si affacciano nella mente travagliata dell’autrice.
Ma soprattutto emerge la voglia di capire, approfondire e svelare. Gli studi universitari in psicologia aiutano Fuani Marino a spiegare i termini tecnici e a restituire dignità, senza vergogna, alla malattia mentale.
“Mentre cercavo di spiegare il motivo per cui era così importante per me non nascondere quanto mi era successo esponendomi in prima persona, compresi che questo libro non era solo il racconto di una cosa terribile che mi era successa, ma anche un gesto politico, almeno nelle mie intenzioni. C’entrava qualcosa che aveva a che fare col concetto di pride […]”.
Fuani Marino sceglie coraggiosamente di raccontarsi prima che le persone possano additarla e stigmatizzarla. Sceglie di non nascondere e negare una parte importante di sé esigendo rispetto per il suo vissuto. E soprattutto, forse, sceglie la vita.
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