Essere comunisti è sempre stato difficile.

Quando sei piccolo tutti vogliono le Nike. Anche tu vuoi le Nike. Tra l’altro quando ero piccolo io il concetto di “sneakers” non esisteva. C’erano le scarpe di legno (il mocassino) e le scarpe da tennis (le Superga, che a sapere che oggi sarebbero costate 50 euro invece che 5.000 lire due paia al mercato ne avrei fatto scorta e ora sarei ricco, altroché comunista). E le Nike. Che erano una gran bella conquista: comode come le scarpe di tela ma senza l’inconveniente del piantarti i rovi tra le dita dei piedi.

I miei non erano comunisti. Erano poveri. Chiaro, non si parla della povertà drammatica degli ultimi di oggi. Era quella povertà dignitosa che ti obbligava a mangiare i biscotti al mattino un giorno sì e uno no, ma alla quale resistevi mettendo cinquemila lire alla settimana da parte ché un giorno ci avresti comprato la casa.

Essere poveri ed essere comunisti era quasi un compenetrarsi di realtà all’epoca (sto parlandi di 20/25 anni fa eh, non della Rivoluzione d’Ottobre). Mio zio mi raccontava del suo Padrone, che era un padrone comunista.
“Luis, qui c’è la tua parte di soldi del lavoro.”
“Maestro ma questa è metà, tu sei il padrone, perchè non ne prendi di più?”
“Perchè io sono comunista. Essere comunista significa non permettere che un uomo sfrutti un altro uomo. Noi abbiamo diviso a metà il lavoro e ora dvidiamo a metà i soldi. Teh, piglia, e bugia nen, che ‘nduma a travajè”.
Mi affascinava questa idea di un mondo di uguali. Ma volevo lo stesso le Nike. Le volevo ma resistevo, perchè c’erano i bambini poveri che non avevano nemmeno le scarpe da tennis. E perchè mia madre, una volta che avevo proposto di scambiare i miei biscotti per un giocattolo mi aveva detto, con le lacrime agli occhi, che forse non potevamo nemmeno più comprare i biscotti.

Così resistevo. Ero povero. E stavo diventando comunista. Ma era durissima.

Poi sono cresciuto. Ho iniziato a leggere, ad assorbire i concetti di libertà e uguaglianza, la coscienza di classe, l’attenzione verso gli ultimi. Ma era sempre più difficile, perchè anche quelli attorno a me crescevano e degli ultimi non gliene fregava un cazzo. Era difficilissimo lottare contro il loro individualismo, il loro volere “più roba”, il loro scalciare in faccia a chi, più in basso di loro tentava di respirare con appena il naso fuori dalla terra. Ma a loro non gliene fregava niente, non erano teste quelle: erano gradini per salire più in alto. il loro egoismo era una via troppo comoda per riuscire a fargliela abbandonare (e per non esserne segretamente attratto).
Così, di fronte ai vani tentativi di dialogo, in me si scatenava la violenza dell’impotenza, la lotta di classe con qualsiasi mezzo: se non volevano togliere i piedi dalle facce dei miei compagni sotterrati era mio dovere morale spezzargli le gambe. Ma anche lì era durissima. Perchè ridursi all’abbrutimento delle bastonate era comunque una sconfitta per l’intellettuale che stavo cercando di coltivare in me, era una battuta d’arresto nel mio affrancarmi dall’incapacità del confronto. Mi stavano di nuovo tirando in basso.
Quanto era difficile camminare sulla corda tesa tra il maoista “Colpirne uno per educarne cento” e il “Libro e moschetto fascista perfetto”…
Quanto sarebbe stato più facile pensare solo a me stesso, ad accumulare anche io “più roba”, a muovere anche io i miei passi su quelle teste anzichè fare da scudo umano? Io vi capisco, borghesi di merda. Io LO SO che bramare è più facile che condividere. Credete veramente che a vent’anni non continuavo a volere le Nike? Certo che le volevo. Ma io resistevo.

Oggi è ancora peggio. Questo è un atto d’accusa.
La definizione di necessità ha perso il senso del reale e i bisogni che avete ve li siete inventati.
Il consumismo vi ha mangiati interi. Vi definite poveri ma fate le rate per il televisore full hd, firmate col sangue finanziamenti per avere la macchina più fica e poi la tenete parcheggiata perchè non avete soldi per la benzina. Piangete miseria perchè vi divora l’invidia per le Chiara Ferragni che avete contribuito a creare, dando loro i mezzi per costruire un impero sul NIENTE. Un impero che serve solo ad alimentare la vostra invidia. E sfogate la vostra rabbia sociale sui reietti. Sui tossici, sui migranti, sugli zingari, sulle puttane (no, sulle puttane no perchè vi piacciono), sui barboni.
Ma ora vi dico una cosa: voi non avete diritto a quella rabbia. Non siete poveri, siete dei bambini meschini che urlano in faccia alle loro madri che vogliono un giocattolo. Non vi giustifico e non vi comprendo, non avete diritto alla paura. Perchè la paura che avete è di perdere il superfluo, mentre coloro contro i quali vi sfogate non hanno neanche il necessario. È facilissimo dimenarsi, piangere e sbavare rosi dall’egoismo.

È difficilissimo, invece, essere comunisti. Perché tutti i giorni che mi sveglio e mi guardo allo specchio vedo riflessa un’immagine che vi assomiglia sempre di più. È durissima rimanere abbracciato agli ultimi, mantenere l’etica, la barra dritta, rimanere comunisti. La verità è che è durissima non diventare come voi. E tutti i giorni ho paura che questa trasformazione, prima o poi mi prenderà. Perché nel profondo, io le Nike ancora le voglio. Ed è resistere a questo desiderio che significa essere comunista.

Gli ultimi saranno sempre gli ultimi, se i primi sono irraggiungibili.

Vostro,

Lingera

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