Primo post del primo Best Guest, ovvero Alberto Marzetta, grande amico di Collateralmente e mente raffinata assai.

L’intelligenza artificiale sta avendo degli effetti, e siamo solo all’inizio. Alberto ci fornisce qualche spunto.

Buona lettura!


Che c’azzeccano AI e reddito di inclusione?

In ufficio stiamo seguendo una lunga formazione dedicata all’AI e all’uso di questo strumento come supporto nelle attività quotidiane.  Con l’AI si possono fare, ne ho avuto le prove, un sacco di cose. Peraltro anche in poco tempo una volta che l’assistente digitale è stato ammaestrato a dovere.

Ciò significa che davvero lavora per conto suo (e per conto tuo), eliminando inefficienze, tempi morti, ma anche, va detto, competenze.

A un certo punto della formazione questa evidenza ha dato corpo a un piccolo “dibattito” perché di fronte alla ormai imminente inutilità dell’apporto umano in alcune fasi di lavoro (e quindi di persone che dedicano il proprio tempo a svolgere quelle mansioni) è parso chiaro il problema (arcinoto anche in altri ambiti e per altre mansioni) che l’AI sostituirà il lavoro umano con una riconversione solo parziale dei posti di lavoro in nuove opportunità di impiego.

Ci risiamo, insomma. Senza essere necessariamente luddisti, la riflessione si fa obbligo.

In quel momento del nostro incontro il formatore, però, ha usato la formula magica per la mia mente “l’AI deve andare di pari passo con l’introduzione e il mantenimento del reddito di cittadinanza progressivo”.

Ovvero se il sistema, con le sue logiche di ineluttabilità (“o lo fai o sei fuori, non può essere diverso”) e l’evoluzione tecnologica – che pare inarrestabile – ti espelle, il sistema deve in qualche modo anche riproteggerti con degli strumenti di welfare adeguati.

A me è scattato l’applauso spontaneo e potevo anche terminare lì la formazione (ovviamente sono andato avanti), perché siamo di fronte all’ennesima occasione di guardarci addosso e di renderci conto che se davvero le macchine possono fare il nostro lavoro, possiamo ritagliarci quel tempo per esprimere noi stessi, per dare spazio a passioni e indoli innate lasciando alle macchine quelle mansioni. Ci vuole “solo” lo strumento adatto.

Però…c’è sempre un però. Il problema è che non si può: il sistema medesimo richiede lavoro (e merito…qua si aprirebbe un altro enorme dibattito sul tema), produzione di valore, tasse e cosi via. Ma, altrettanto, crea le condizioni perché si renda progressivamente impossibile che ciò succeda.

Le due cose, lavorare tutti e l’AI paiono così in antitesi, ma la sintesi potrebbe proprio essere abbinare il reddito di inclusione progressivo (dalla culla alla tomba, come si suol dire) affinché in primis gli espulsi dal lavoro, ma poi in generale tutti, possano godere di una forma di reddito garantito capace di rendere giustizia (e dignità) a ogni essere umano a prescindere dal lavoro, svincolandoci da esso visto che stiamo progettando, e usando, sistemi e condizioni che lo consentono.  

Esiste qualche proposta politica (seria) capace di immaginare questo scenario e metterlo in pratica davvero?

A me pare di no, ma per chi si professa progressista dovrebbe essere automatico non piegarsi alle “leggi” economiche che pongono al centro il denaro (e non l’essere umano) nelle dinamiche che regolano le relazioni, e immaginare il “progresso” proprio come la liberazione dell’essere vivente dai vincoli connessi, anche, al lavoro per dedicarsi all’unico scopo che sta insito in ciascuno di noi: realizzare la propria unicità.

Utopia? Si, ma utopia significa “il luogo che non c’è”.

Quale progressista è quello incapace di immaginare la destinazione verso il luogo che non c’è, al posto di “conservare” quello che già conosciamo, fonte delle distorsioni e delle diseguaglianze che vediamo ogni giorno attorno a noi, anche legate alla tecnologia?

CC BY-NC-ND 4.0 AI e una qualche idea di reddito inclusivo by Collateralmente is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.