
Alla fine ho ceduto. Mi sono detto che era da snob non vedere il film di Checco Zalone, che non si può ignorare una pellicola che diventa fenomeno di massa (64 milioni di euro finora incassati al botteghino, dal 1° gennaio), che si sente dire “Zalone fa ridere e non è becero come i cinepanettoni…”.
Potranno mica sbagliarsi tutti? E poi non avevo visto ancora un film, di questo fenomeno barese di cui tutti parlano…
La storia, in sintesi, è questa: Checco Zalone (il protagonista ha lo stesso nome e cognome dell’attore) è cresciuto nel mito del posto fisso e da adulto lo ha ottenuto: mette timbri sulle richieste di licenza, nel suo ufficio provinciale, sezione caccia e pesca. Ha una madre che lo serve come un pascià, nonostante i suoi 38 anni, e una fidanzata che si zerbina per lui, senza riuscire a convincerlo a convolare a nozze. Chi sta meglio di lui? Un brutto giorno la riforma della pubblica amministrazione lo costringe al trasferimento e a varie peregrinazioni nei posti più assurdi del Paese. Non volendo licenziarsi, convinto da un senatore (Lino Banfi) suo conterraneo, che ha raccomandato tutta la sua famiglia, a non abbandonare mai il posto fisso, Checco finisce addirittura al Polo Nord, dove si innamora di Valeria, scienziata che lavora con gli orsi polari ed ambientalista convinta. Riuscirà il nostro eroe a cambiare mentalità, anche grazie a questo incontro folgorante?
90 minuti di narrazione, alternata in diverse location: dalla Puglia di origine, al circolo polare artico, alla Norvegia dove vive Valeria, passando per la Sicilia e altri luoghi sperduti. Nonostante alcune vecchie volpi come personaggi di contorno (Lino Banfi, Ninni Bruschetta, Maurizio Micheli), il film si rivela una satira abbastanza piatta di tutti i clichè italiani: meridionali cialtroni, mammoni e nullafacenti, efficientismo del nord (soprattutto Europa!), sud mafioso e sessista, Italia clientelare e perbenista, Norvegia civile e multiculturale. Lieto fine assicurato e buonista, per non smentirsi o non deprimersi.
A questo punto uno si domanda delle cose: ma era davvero così imperdibilmente divertente? Le persone in sala con me credo che abbiano gradito, ridevano di gusto… io mi sono limitato a sorridere in un paio di occasioni (la famiglia multietnica di Valeria e le preghiere a tavola!). Zalone vuole fare satira sull’Italia, ma poi perchè non graffia fino in fondo e si scivola nei buoni sentimenti e nel volemose bene?
Ho ripensato a una categoria che mi ha proposto un amico, a proposito della lettura di questo film: dopo i beautiful losers (soprattutto per il cinema americano!), con Zalone si dovrebbe coniare quella degli horrible winners. Mi ritrovo, ora capisco cosa volesse dire: una storia su un protagonista che incarna i peggiori vizi dell’italianità, conditi da una serie di clichè insopportabili, che però è simpatico e in fondo, alla fine fa la cosa giusta, perchè si sa, ovunque nel mondo, italiani, brava gente! Sarà da moralisti, ma se la categoria che ci affascina e che premiamo (alla cassa e nella vita) è quella dei terribili vincitori, io qualche domanda me la farei. Si potrebbero azzardare facili paragoni con la politica e fare delle analisi sociologiche, ma non voglio scivolare in altri campi. In fondo si sta parlando di un film: a me non ha detto semplicemente nulla.
Forse sto invecchiando male, serioso e noioso. Eppure a me ridere al cinema piace da matti, ma non ci sono riuscito, neanche un po’.
Meno male che il mercoledì l’ingresso è ridotto per tutti, ma era meglio aprire un libro e fregarsene del box office!
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