Un qualunque corpo posto sopra un piano inclinato tenderà inevitabilmente a scendere per effetto della forza di gravità, fino a raggiungere il fondo. Inoltre, in accordo con l’esperienza comune, tanto più il piano è inclinato, tanto più il corpo posto su di esso scenderà velocemente.
È per certi versi disarmante la capacità predittiva di William Gibson: nel corso dei decenni, di trilogia in trilogia il 90% di quanto ha scritto si è palesato nella nostra realtà, in un modo o in un altro.
Lo leggo con avidità da sempre, e per questo mi ha fatto molto sorridere la presentazione di Meta, con un Mark Zuckerberg tutto intento a spiegare cosa ci potremo aspettare nel prossimo futuro.
Meta è nella testa di Gibson dal 1984. Millenovecentoottantaquattro, capite? Lo ha chiamato Cyberspace, ma quello è. Mi spiace per gli estimatori di Neal Stephenson che hanno gridato al miracolo: è vero che il termine è stato coniato da lui, ma Stephenson ha scritto di Metaverso nel 1992.
Ora, senza imbastire competizioni letterarie che lasciano il tempo che trovano, leggendo gli ultimi, complicatissimi libri dell’ultima trilogia gibsoniana ho avvertito un senso di disagio crescente. Non parlo della storia in sé che naturalmente può piacere oppure no [personalmente il primo mi è piaciuto moltissimo, il secondo molto meno]; parlo dello sfondo della storia che è costituito da un evento chiamato Jackpot.
Il Jackpot è un evento catastrofico che porta l’umanità sull’orlo di un’estinzione evitata solo grazie a un prodigioso balzo tecnologico, pagato a carissimo prezzo. Di fatto, 3/4 della popolazione mondiale viene spazzata via.
Ora, direte: nulla di nuovo. È pieno di profezie di questo genere sia nella letteratura che nella cinematografia. Vero, ma il Jackpot non è un evento singolo: è una somma di eventi che inizialmente passano quasi inosservati. Un passo alla volta, sempre più giù, seguendo l’ineluttabile regola del piano inclinato.
Vediamo se vi viene in mente qualcosa quando scrivendo Jackpot intendo:
- Piccole guerre periferiche
- Crisi finanziarie
- Crisi energetiche
- Migrazioni di massa
- Corporazioni che accentrano enormi quantità di denaro
- Tecnologia pervasiva
- Controllo sociale
- Eventi climatici catastrofici
- Epidemie che si trasformano in pandemie
L’elenco di cui sopra è una somma di cose che, volenti o nolenti, rappresenta la nostra realtà odierna ed è propriamente ciò che intende come inizio del Jackpot: non una calamità totalizzante, non una singolarità. Qualcosa che inizia a filtrare poco a poco nelle nostre esistenze rendendo normale quell’elenco.
Leggendo ho avuto la netta sensazione che Gibson ancora una volta stesse descrivendo qualcosa di molto vicino e di inevitabile come si legge in una parte del primo romanzo:
“Cosa possiamo fare per fermarlo?”
“Niente”
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