Dorothea Lange è la nuova protagonista delle sale di Camera – Centro Italiano per la Fotografia (via delle Rosine 18, Torino). Da domani 19 luglio, fino all’8 ottobre più di 200 scatti saranno in mostra negli spazi da poco ristrutturati di Camera.
Lange nasce, si forma, viaggia, lavora e vive negli Stati Uniti: il fulcro della sua attività professionale è incentrato sulla vita dei migranti e degli agricoltori del Sud degli USA, che tra gli anni 1931 e 1939 furono colpiti da una grave siccità e da continue tempeste di sabbia, che costrinsero migliaia di persone a migrare verso altri Stati come la California.
È proprio in questo contesto che nasce “Migrant Mother”, la sua fotografia più famosa e iconica. Non è l’unica che racconta le sofferenze degli agricoltori migranti di quegl’anni: altre donne sono ritratte singolarmente o con i figli davanti a piccole baracche che fungono da abitazione in mezzo ai campi di piselli, pomodori, cotone e tabacco, dove gli uomini e i bambini sono impegnati tutto il giorno per guadagnare qualche centesimo.
Il suo lavoro di reportage fu parte del programma della Farm Security Administration, che allora documentava le condizioni disastrose dei migranti per “raccontare l’America agli americani” e per promuovere e giustificare gli ingenti finanziamenti del New Deal. Lange entra in questi villaggi improvvisati e scatta immagini immortali che raccontano dure storie di sacrifici. “Non le chiesi il suo nome o la sua storia. Mi disse la sua età: aveva trentadue anni. Mi disse che sopravvivevano mangiando le verdure congelate dei campi circostanti e gli uccelli che i bambini uccidevano. Aveva appena venduto le gomme della sua auto per comprare del cibo.”







289 mila fotografie corredate da lunghe didascalie per spiegarne il contesto, e raccolte in album artigianali da inviare velocemente agli uffici stampa per la divulgazione. Alcune pagine di questi album sono esposte nelle teche dell’ultima sala, e ogni fotografia riporta le didascalie che Lange stessa aveva usato per descriverla.
Il corridoio di Camera è dedicato invece a una parte della storia del ’900 poco conosciuta: a seguito dell’attacco alla base navale di Pearl Harbor da parte del Giappone (7 dicembre 1941), gli Stati Uniti reagiscono entrando in guerra e deportando (o “ricollocando” in politichese) circa 110 mila persone di discendenza giapponese all’interno di alcuni campi di detenzione allestiti in zone abbandonate e semidesertiche.
Anche in questo caso Dorothea Lange viene incaricata di documentare le fasi dell’operazione. Dato che sia lei sia il marito disapprovavano pubblicamente questa politica, il loro lavoro è continuamente sottoposto al controllo da parte dell’esercito. La censura colpisce le foto con il filo spinato, le torri di guardia e i militari armati. I soggetti consentiti sono bambini e anziani: i primi perfettamente integrati nell’occidente leggono fumetti americani, giocano con giochi americani, indossano abiti americani e cantano l’inno con trasporto e sentimento; gli anziani, invece, sono vestiti con i propri abiti migliori e attendono con pacata rassegnazione di essere ricollocati. La pericolosità degli uni e degli altri è tutta da dimostrare.
Abbiamo intervistato Monica Poggi, curatrice della mostra.
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