Da quando sono tornato a fare la vita del pendolare ho molte più occasioni per guardarmi intorno rispetto a quando guidavo l’auto, e non è poco.
Stamattina, appena sceso dal treno, ho ricevuto una chiamata di lavoro e mi sono fermato nell’atrio di Porta Nuova; parlando parlando, la mia attenzione passava dalla vetrina della Feltrinelli al pianoforte che in quel momento non stava suonando nessuno [che idea, ragazzi. Bellissimo], a una bambina con un cappotto blu che si muoveva a scatti con l’espressione smarrita. Finita la telefonata, la bimba era ancora lì. Ora: che si fa in questi casi? Viviamo in un mondo che ti mette di fronte a dilemmi spiacevoli. Un adulto che si avvicina a una bambina che sembra essersi persa è normale, sì. MA.
No? C’è quel ‘MA’ che ogni uomo ha di fronte agli occhi quando si verificano alcuni eventi.
Bene, tolto il ‘MA’, mi avvicino, e questo è quel che ne segue:
“Ciao. Non è che ti sei persa, per caso?”
“Non trovo la mamma”
“Ah. Ho capito. Vuoi che la aspettiamo qui? Posso fare qualcosa? Vuoi che chiami qualcuno?”
“Vorrei, ma non posso”
“Non puoi fare quale di queste cose?”
“Nessuna. La mamma mi ha detto di non parlare MAI MAI MAI con gli sconosciuti”
“La mamma ha ragione, completamente. Però come si fa? Non me la sento mica di lasciarti qui da sola”
“La mamma mi ha detto che se ci perdiamo devo rimanere dove ero l’ultima volta che l’ho vista”
“Giusto. Eri qui, quindi. E la mamma dov’era?”
“Sto già disubbidendo. La mamma mi ha detto di non parlare MAI MAI MAI con gli sconosciuti”
[Mi viene in mente Asimov e le tre leggi della robotica. Il perché è evidente]
“Bene, allora facciamo così: io mi presento così non siamo più sconosciuti. Mi chiamo Pierluigi”.
Lei mi dice il suo nome.
“Possiamo risolverla così: aspettiamo qui insieme finché non torna la mamma, e se ci mette tanto magari fermiamo uno di quei signori in divisa e gli chiediamo se possiamo chiamare la mamma con gli altoparlanti. Che ne dici?”
Ne dice che il mento inizia a tremolare e sta per piangere. E io non sono più abituato a questo, perchè mia figlia ha 15 anni e la stagione dei menti tremolanti è passata da un pezzo. Vorrei offrirle una caramella [che non ho], ma potete ben capire cosa penserebbe la mamma del connubio caramelle/sconosciuti.
“Io non piangerei fossi in te, perché la mamma arriverà presto, ne sono certo, e se ti vede piangere si spaventerà ancora di più. Guarda, c’è un ragazzo che sta per mettersi a suonare il pianoforte: lo ascoltiamo? Questo non è vietato, no?”
Ascoltiamo il ragazzino che oltraggia Chopin oltre ogni ragionevole senso della decenza, ma va bene lo stesso.
Quando arriva la mamma, trafelata, spaventata, rincuorata [queste tre cose possono avvenire contemporaneamente solo sul volto di una madre], la bimba le si butta addosso e la mamma mi squadra, poi mi ringrazia. Io mi presento, dico quello che è successo e tutto torna nell’ordine naturale delle cose, fin quando la bambina dice.
“Mamma, ho disubbidito e ho parlato con questo signore anche se mi hai detto di non farlo. Però se non parlavo con nessuno mi spaventavo di più. Ho fatto male? Come dovevo fare?”
Tic. Basta una domanda, no?
Tralascio la risposta, del tutto prevedibile; quello che importa è la domanda e il fatto che questi piccoli incidenti sono una di quelle porticine che i bambini devono aprire da soli per entrare in una stanzetta un po’ più grande, nella quale troveranno altre porticine che man mano diventeranno sempre più grandi.
Ha scelto con la sua testa nonostante i blocchi, e ha scelto di aprire quella porta. Il fatto che in quella stanza ci fossi io a darle il benvenuto è stato, per certi versi, un autentico onore.
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