Sto leggendo un libro molto bello, si intitola ‘Ferrovie del Messico‘, l’autore è Gian Marco Griffi.
Lo sto leggendo a strappi, senza dargli la giustizia che merita, ma lo sto leggendo. Sono incappato in questa lettera d’amore che, lo ammetto, ha smosso qualcosa.
Ve la propongo qui, consigliandovi questo strano e avventuroso libro.
«Caro Cesco» c’era scritto, «quando tornerò andremo a osservare i segni dell’età sulle pietre della casa cantoniera, quella in cui mi baciasti l’ultima volta, l’intonaco annerito dal fumo e levigato dal vento della guerra, dalla pioggia di bombe; cammineremo sui binari infestati dall’erbaccia in un giorno col cielo alto, vecchio come le storie degli uomini; scopriremo gli strati della nostra archeologia domestica indicando le patine sulle pietre con un rametto di nocciolo e nomineremo le epoche: qui avevo il cane bianco, qui giocavamo all’orologio di Milano fa tic tac, qui c’era ancora il cantoniere che ha fatto l’Italia, qui uscivamo da scuola per correre nei campi d’erba medica canticchiando melopee e poemi cavallereschi, qui tutto bruciava, e in pochi anni il gorgo della natura si è pigliato i coppi, il rosso pompeiano, la tappezzeria, il camino. «Quando tutto sarà finito ci torneremo, Cesco, io e te, scacceremo i corvi, e di notte i pipistrelli, accudiremo i ricci che avranno fatto la tana nell’angolo dov’era lo studio e leggeremo il futuro nei fossili delle galline che una vecchia vicina finiva tagliando loro la lingua, illumineremo i filamenti bianchi che pendono dalle travi, e dal tetto quasi interamente crollato ricaveremo un osservatorio per i nostri telescopi puntati sulle profondità del passato, Orione e la sua nebulosa e la messa domenicale e tuo nonno in bicicletta appoggiato al cancello prima della campagna; in cortile canteremo inni agli ovili del Paradiso belando a stento la gloria dell’abbandono e del ritorno, simuleremo l’amore all’ombra di un caco raccontandoci le nostre storie, le odissee delle nostre tribù dialettali, con la camicia che si appiccica alla schiena, seguiremo le parabole di una palla da tennis, e ci sorprenderemo delle sue traiettorie casuali contro la corteccia della magnolia, il patio, il pozzo, fino a rintoccare sulla campanella del portone, dov’è appeso un angelo col naso rovinato dalla pioggia e le ali spezzate dall’incuria; annuseremo la notte alta e controlleremo la cassetta della posta per trovarci le lettere dei nostri amanti, torneremo dentro e accatasteremo porte mai aperte, sassi, gradini, e strapperemo la gramigna, il vilucchio, lo stramonio dagli interstizi tra le piastrelle rotte della camera da letto, metteremo in fuga scarafaggi e scolopendre, strofineremo foglie secche tra le dita e spargeremo la terra dei morti sul pavimento di terracotta, orineremo nello spazio del bagno dove restano tre tessere d’un mosaico pastorale e attenderemo il fischio del treno come un vagito antico; in salotto confronteremo l’altezza della nostra vecchiaia con le tacche a matita della nostra fanciullezza accanto al profilo della radio, consumeremo di occhi la parete opposta, dove resistono i chiodi che avevano sostenuto i quadri della nostra giovinezza, e dove c’era la cucina fingeremo di spezzare il pane e di stappare una bottiglia; brinderemo a tutto, e mangeremo masticando la memoria come niente fosse; poi azioneremo il ricordo della radio, per farci compagnia, e ci perderemo in certi lessici famigliari che rendono le parole buffe e malleabili come l’impasto del pane, e lacereremo l’intuizione del consumarsi degli eventi fino a strapparla, per amarci un momento senza clessidre, senza meridiane, senza tempo».
Una lettera d’amore in un libro speciale by Collateralmente is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.
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