Il barone Victor Frankenstein (O. Isaac) è un medico visionario, cresciuto all’ombra del padre (C. Dance), inflessibile e rinomato luminare della medicina. Victor, memore della morte della giovane madre quando egli era un ragazzo, una volta adulto coltiva sempre più ossessivamente il sogno di ridare vita alla materia umana morta. Trova nel ricco uomo d’affari Heinrich Harlander (C. Waltz) il finanziatore dei suoi esperimenti, nonchè lo zio di Elisabeth (M. Goth), giovane donna promessa in sposa a William (F. Kammerer), fratello di Victor.
Quando Victor riesce nell’impresa, la Creatura (J. Elordi) che è stata letteralmente assemblata, sembra essere dotata di forza sovrumana, ma poca intelligenza. Il delirio di onnipotenza in cui cade Victor, tuttavia, farà precipitare le cose, scivolando presto nel sangue, il dolore, la morte.
Guillermo del Toro (“Pinocchio”, “La forma dell’acqua”, “Il labirinto del fauno”) porta sullo schermo il celebre romanzo gotico di Mary Shelly, già filmato da tanti registi negli ultimi cento anni (il primo lungometraggio è del 1931). Lo fa con una storia che ha un prologo, due punti di vista diversi (quello di Victor e quello della Creatura) e un epilogo, che riporta la vicenda alla parte iniziale.
Esteticamente molto affascinante, ma la bravura di del Toro è fuori discussione, come anche il valore delle musiche, della scenografia, della fotografia, della prova del cast. Il problema è la sceneggiatura, che si rivela debole, soprattutto nella seconda parte e forse troppo metaforica nell’usare il leit motiv del rapporto padre-figlio.
Riuscito a metà, peccato. Produce Netflix, infatti sarà disponibile sulla piattaforma a partire dal 7 novembre.
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