Tornando a casa mi è capitato di passare davanti alla via che passa di fronte a un liceo e all’università mentre i ragazzi stavano uscendo. Stavo ascoltando questa musica, in cuffia:
Mi è successa una cosa strana, a dire il vero non proprio bella: li vedevo tra loro, sorridenti, vocianti, spensierati, allegri. Chi con un panino in mano, chi al cellulare, chi alla fermata del pullman. Amici, avversari, storie, interrogazioni, tutto che sapeva di freschezza, di strade inesplorate. Strade che ho già percorso da molto tempo, per me polverose e sbiadite, evanescenti come un miraggio in un deserto alle mie spalle.
Quello che mi ha intristito, ovviamente, non erano i ragazzi; mi ha rabbuiato questo pensiero: ‘ragazzi, mi dispiace per voi, ma siete fottuti. Abbiamo messo su un mondo che vi spezzerà ben preso le ossa, vi inserirà in mansioni mediocri, annebbierà i vostri sensi con anestetici digitali, farà finta di regalarvi felicità artificiali, chimiche per poi buttarvi via’.
Non un bel pensiero, che poi è passato, ma non ho capito se sia stato dettato dai miei 50 anni o dalla consapevolezza triste di aver partecipato nel mio piccolissimo alla messa in opera di un sistema che ha trasformato il domani in una minaccia costante invece che in un luogo carico di promesse.
Ho proprio voglia di sbagliarmi.
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