Lui è Aldolf Hitler (1899-1945) che si risveglia in un giardino qualsiasi, a Berlino, nel 2014, ancora in uniforme. Il tempo di ambientarsi (al nuovo contesto, alla tecnologia), superare lo shock e pensare bene di tornare a predicare il suo credo. Le persone pensano che sia un attore comico, quasi un fenomeno da baraccone e in breve diventa una star della televisione, autore di un best seller che si trasforma un film di successo. Nessuno riesce davvero a prenderlo sul serio, anzi molti tedeschi ammettono senza riserve di avere idee politiche simili alle sue.
Film difficilissimo da catalogare, che mescola, a partire da uno spunto iniziale anomalo e certamente interessante, la satira graffiante, immagini recenti di repertorio che arrivano da mezza europa, interviste al limite della candid camera. Il risultato è discontinuo, l’alternanza generi molto diversi e l’amalgama a volte sfugge di mano. Si può ridere di Hitler, dei turisti alla porta di Brandeburgo che vogliono fare selfie con lui, o della sua capacità di disegnatore per fare caricature ai passanti? Discutibile fin che si vuole, può ricordare, per certi aspetti, la forza manipolatrice della televisione, alla “Quinto potere“, che può fare di un folle un fenomeno di massa. Spassosissima la citazione da “La caduta“. In ogni caso, inquieta e turba, spiazza e non convince del tutto, ma di certo lascia aperti alcuni interrogativi relativi alla memoria del passato, alla rimozione, alla possibilità di ripetere gli orrori della storia, ai rischi del razzismo oggi.
Nelle sale italiane solo il 26, 27 e 28 aprile: non si capisce quale logica muova certe scelte di distribuzione.
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