Ho ascoltato un podcast [ormai sono addicted, non c’è niente da fare] in cui c’era una riflessione interessante: il momento in cui il bambino che eravamo è morto ed è subentrato l’adolescente.

Nel podcast si discuteva del fatto che questo momento fosse fissato in un preciso istante, un punto esatto della nostra vita, oppure se fosse un passaggio graduale, un insieme di abitudini dismesse poco a poco.

Beh io me lo ricordo con esattezza quando il bambino che ero è morto: semmai il passaggio graduale è avvenuto per la nascita dell’adolescente.

È uno di quei ricordi archiviati molto in fondo, ma è preciso e nitido: ha a che fare con i soldatini verdi.


Amavo giocare con i soldatini verdi, ne avevo un sacco di tela pieno zeppo: fanti, cannoni, incursori, jeep, navi da combattimento: passavo pomeriggi interi a immaginare battaglie epiche. Lo sbarco in Normandia, le Ardenne, la campagna d’Africa. Ero figlio unico, giocavo da solo e andava benissimo così.

Un giorno, quel giorno, successe questa cosa: mi avvicino al sacco dei soldatini ma qualcosa non va. Lo fisso a lungo ma non lo tocco. ‘Perché?’, mi chiedo. Non avevo voglia di giocare? Non era esattamente così, ma qualcosa dentro mi parlava e diceva: ‘È da piccoli’.

Ne seguì una specie di dialogo interiore che più o meno è andato così.

“Come sarebbe che è da piccoli? A me piace giocare con i soldatini”

“È da piccoli”

“Ma io non sono mica grande: ci ho sempre giocato. Perché non va più bene?”

“Perché è da piccoli”

“Ma volevo solo giocare come sempre…”

“Sicuro?”

No, non ero più sicuro di averne voglia, però mi forzai anche solo per non dare soddisfazione a quella fastidiosissima voce interiore. Così presi il sacco, disposi i soldatini, preparai tutto per la battaglia e rimasi seduto per terra a guardare la mia armata.

Fu lì che morì il bambino, assorto e scontento nel riporre nel sacco il suo esercito invincibile, un soldato alla volta, senza aver sparato un colpo.

Piansi, ricordo anche questo: avevo voglia di avere voglia di giocare, ma non potevo più farlo per motivi che non capivo e che mi parevano oltremodo ingiusti.

Quella battaglia mai combattuta è stata la fine del bambino e l’inizio di qualcos’altro, e ricordare quel momento è una fortuna per certi versi ma è anche una sensazione spiacevole. Di quei soldatini ne conservo ancora uno, ma non lo guardo mai: è in una scatola dentro il cassetto di un armadio, sempre pronto per fare una cosa che non farà mai più.

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