Altro post di Loretta Patrini, che ci piace considerare ufficialmente imbarcata sulla nave che traccia rotte collaterali.

Buonissima lettura!


Nel 1998 avevo vent’anni e vivevo nella provincia cremasca, piccola e asfissiante come tutte le province e come tutte giudicante, prontissima a individuare le differenze e metterle sotto i riflettori per deriderle e sminuirle. 

Non sono cresciuta esponendo la mia differenza, non avendo i mezzi per comprenderla cercavo di camuffarla come potevo, anche se lei si prendeva la libertà di suo diritto e fuoriusciva da ogni parte. 

Un giorno mi invitarono a un matrimonio, situazione che mi pose di fronte al grosso problema del: “E io come mi vesto?”

Mia sorella mi aveva accompagnata in un negozio in centro a Crema. Io ero troppo a disagio per spiegarmi, quindi aveva parlato lei con la commessa dicendole: “Non vuole la gonna, non vuole cose attillate sui fianchi e non mette i tacchi.”

Arrivai al matrimonio con dei pantaloni larghissimi, come quelli tornati di moda oggi, e sopra una giacca di cotone lunga fin sotto le ginocchia. Ai piedi delle scarpe da uomo, comprate in un reparto uomo, con la commessa che mi aveva detto: “Guarda che le donne non mettono queste scarpe.”

L’allora compagno di un’amica invece mi disse: “Sei la più elegante di tutte.”

Sembravo un assemblaggio di maschile e femminile, ero una sfumatura di entrambi, non c’era un confine tra i due aspetti, si compenetravano. 

Per la prima volta qualcuno aveva colto la mia neutralità di genere, anche se né io né lui avevamo un nome per definirla.

Io non lo so a cosa si riferiscano le altre persone quando individuano l’eleganza negli altri, ma sento che non è un aspetto che si può ridurre alla sola femminilità. Non sopporto di sentir parlare di uomini effeminati perché hanno modi ed espressioni di grazia poco virile. Non sopporto le distinzioni nette di maschile e femminile, è una delle tante dicotomie indotte e spesso inconsapevoli che ci spingono a separare due aspetti che troverebbero un equilibrio l’uno nell’altro se gliene dessimo la possibilità. 

Sono due aggettivi che da tempo utilizzo solo in termini estremi, sia la mascolinità sia la femminilità troppo esposte mi mettono a disagio. Mi rimarrà sempre, credo, un residuo dell’inadeguatezza che provavo da ragazzina, quando non conoscevo il territorio neutro e goffamente cercavo di metterci del maschile nella mia femminilità. Ma era uno sforzo visibile, artefatto, mentre l’eleganza non fa nessuna fatica, è una bellezza d’animo interiore che viene fuori da sola, non segue regole, si esprime senza i nostri comandi, senza i nostri esercizi di stile di fronte allo specchio. 

L’avete mai vista un’anatra che nuota? Le zampe sott’acqua si dibattono per spingere il corpo in avanti, eppure quello che si vede da fuori è un corpo appoggiato sull’acqua che avanza con grazia, senza che se ne veda lo sforzo. 

Quello sforzo non percepibile è l’eleganza, ed è una raffinatezza che non segue nessun genere.

Ma che ha una prerogativa necessaria: l’esplorazione di se stessi, il confronto difficile, all’inizio anche drammatico ma poi liberatorio, con la complessità del nostro essere umani.

CC BY-NC-ND 4.0 L’eleganza è androgina by Collateralmente is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.