Ho ripreso a leggere di buona lena, ed era ora. Se c’è una cosa positiva di questa quarantena é il fatto che il tempo cambia i suoi ritmi [argomentazione che un fisico smonterebbe in un decimo di secondo, ma tant’è].

Tolto Facebook, ho iniziato a mettere una certa distanza tra me e lo smartphone, cosa che ha fatto automaticamente avvicinare la pila di libri che mi attendevano sul comodino.

Il primo che ho attaccato é la raccolta di tutti i racconti di Kurt Vonnegut; non avevo mai letto nulla di lui, me lo ha consigliato caldamente un amico.

É straordinario: una scrittura tipicamente americana, buona, soda e sostanziosa; nulla a che vedere con quanto esce oggi: una letteratura che, quando é buona, é tutta uno strappo, un punto, un dialogo secco. I racconti di Vonnegut sono la visione di un uomo che aveva capito perfettamente già negli anni 60 dove sarebbe finito il mondo, o meglio: dove sarebbe andato. Nulla di profetico, non sto parlando di William Gibson [che comunque in quanto a profezie non scherza…], ma di uno sguardo molto disincantato eppure romantico su quello che saremmo diventati.

Mi sono commosso, lo ammetto senza problemi, leggendo alcuni dei racconti sulla sua esperienza di guerra; non si parla di battaglie ma di tutto quello che la guerra lascia dietro di sé come triste strascico. Non c’è nulla di poetico o di eroico nella guerra. Ci sono solo vittime, morte o ancora vive.

Ve lo consiglio, perché soprattutto in giorni come questi una lettura del genere può fare capire che siamo ancora in tempo per restare umani nel senso buono del termine. A quello cattivo già ci pensiamo tutti i giorni.

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