Ogni tanto capita di leggere qualcosa che vale la pena di essere riportato qui dentro. Lo facciamo ogni tot, random, ma quando ce vò ce vò e in questo caso decisamente ce vò.

È l’ultimo articolo/newsletter intitolata ‘Ok Boomer’ che Michele Serra scrive per Il Post che ben tratteggia lo stato in cui si trovano tante persone che avrebbero voglia [e soprattutto BISOGNO] di sinistra ma che non la trovano, non la vedono, non sanno più nemmeno darle un nome.

Perché non la trovino è evidente: non c’è.

Qui di seguito, la riflessione di Serra.


Ragazzi! Una grande notizia! Finalmente si comincia a parlare di politica. Fin qui l’abbiamo buttata soprattutto sull’esistenziale. Sull’autoreferenziale. La solitudine. L’identità. Lo stress. Il lavoro che non rappresenta più i ragazzi, che non li seduce. I vecchi che non capiscono i giovani e i giovani che non capiscono i vecchi. Quelli di mezzo che non capiscono né i giovani né i vecchi. Beh, arriva una lettera (non di un parente, anche se si chiama Guido Serra, come mio fratello) che mi richiama, anzi ci richiama, alla politica. A lui l’onore di aprire questo numero di Ok Boomer!.

“A proposito di alluvione. Lo so che si corre il rischio di semplificare e scadere nel passatismo: ma quale forma di organizzazione umana, se non ‘socialista’, potrebbe governare la transizione ecologica, la risposta all’emergenza climatica e tutta la miriade di micro e macro interventi ‘a perdere’ (cioè costosi e profittevoli economicamente per alcuno se non sovvenzionato dallo Stato) che servirebbero? Abbiamo avuto con il Covid la rappresentazione plastica di come l’Unione europea, volendo, può disporre di una ingente quantità di denaro da far piovere a cascata sui propri Stati per rispondere a una gravissima crisi (sanitaria, in quel caso). Non si è forse assistito alla più grande espressione di socialismo europeo a memoria d’uomo? Soldi pubblici erogati a fondo perduto e allentamento di tutta una serie di vincoli di spesa per i paesi membri. Udite udite: ha funzionato”.
“Certo, bisognerebbe che l’emergenza climatica venisse percepita dai cittadini con la stessa dirompenza dell’emergenza pandemica: è quello che chiedono gli ambientalisti. Per farlo occorrerebbe che i media, esattamente come è successo con il covid, venissero intasati di scienziati che spiegassero in tutte le varie trasmissioni popolari cosa sta succedendo (creando quel tot di sano allarmismo da cui solo può discendere la modifica del comportamento individuale, come abbiamo visto, e senza dare spazio al negazionismo). Non sta succedendo. Spoiler: non succederà. Però la cosiddetta sinistra è su questo terreno che si deve misurare. Senza timidezze. Schlein sono convinto la pensi così: si liberi e faccia la sua parte in modo duro, senza preoccuparsi dei tatticismi. Diceva Chico Mendes: l’ambientalismo senza socialismo è solo giardinaggio”.

Guido Serra

Caspita, Guido: non sai quanto sono d’accordo. E grazie per avere menzionato Chico Mendes, martire dell’ambientalismo e delle lotte contadine. Ma mi sono chiesto, leggendoti, quale suono possa produrre, alle orecchie di un ragazzo di vent’anni, la parola “socialismo”. Temo che evocare il socialismo, oggi, sia come parlare di Gino Bramieri, di Giuseppe Meazza, di Wanda Osiris: come fanno a sapere, i più giovani, di che accidenti stiamo parlando? Il socialismo, nel 2023, è una seduta spiritica, una ricognizione in archivio, un’immagine museale, è il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo, è Pietro Nenni con il basco (nato a Faenza nel 1891), è Andrea Costa ventenne con i baffi a manubrio, e la Kuliscioff (bellissima!) che lo indottrina mentre fanno l’amore.

Provo a inanellare una serie di “socialismi”, ditemi voi quale non è circonfuso da un’aura di decrepitezza.
Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.
Partito Socialista italiano (mi scuso con i pochi viventi/postumi).
Partito Socialista francese e in generale i partiti socialisti europei.
Il “socialismo o barbarie” di Rosa Luxemburg (1871/1919), e in tempi più recenti di Castoriadis e dei trotzkisti francesi, e siamo comunque a ottant’anni fa.
Nella Treccani, “dottrina, teoria o ideologia che postuli una riorganizzazione della società su basi collettivistiche”. E la parola “collettivismo”, se possibile, produce un suono perfino più remoto, nonché parecchio minaccioso alla luce degli obblighi e delle sopraffazioni del collettivismo sovietico e cinese.
Vi intrattenni, tre mesi fa, sul risotto “di caseggiato” mangiato tanti anni fa in via Bergamini, nel centro di Milano: era, strutturalmente e culturalmente, un risotto socialista, ma non mi sarebbe mai venuto in mente di scriverlo, oggi, per non sembrare io stesso Pietro Nenni con il basco.

Eppure: dovessi definirmi politicamente, faticherei a trovare una parola più calzante. Mi sento un post-comunista italiano e dunque un socialista – se preferite la specifica “classica”, socialdemocratico – e sono convinto che il problema tragico del nostro evo sia l’anchilosi individualista (il narcisismo ne è la forma patologica, a carattere pandemico).
Aiutatemi, ragazzi. Troviamo dei sinonimi, dei neologismi, delle perifrasi per dire “socialismo”, cioè per dire che nessuno si salva da solo, che degli altri abbiamo necessità e a loro siamo necessari. È un principio basico, quasi rudimentale, tutto sommato, eppure rimosso. Bisognerà pure ripartire dall’idea di rimettersi insieme, in qualche maniera, sopportandoci un poco meglio anche se siamo spesso insopportabili. Partirei da questo indizio: il contrario del socialismo sono i social. Non è forse il grande paradosso dei nostri anni?

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