Sicilia, primavera 1860. Giuseppe Garibaldi (T. Ragno) è sbarcato coi suoi mille per liberare il sud dalla dominazione borbonica. Tra i suoi ufficiali c’è il colonnello Orsini (T. Servillo), con il suo attendente, il tenente Ragusin (L. Maltese); ma nello scalcagnato gruppo di soldati improvvisati ci sono anche Domenico (S. Ficarra) e Rosario (V. Picone), che vogliono sfruttare la spedizione per tornare nella terra natia, per nulla animati da sentimenti di unità nazionale e pronti a imboscarsi alla prima occasione. Le strade dei due mischini antieroi si rincroceranno con quelle di Orsini, ma anche con l’esercito borbonico.
Roberto Andò, tre anni dopo “La stranezza”, torna insieme a Ugo Chiti e Massimo Gaudioso a scrivere una sceneggiatura che mescola storia ufficiale e finzione. Schiera di nuovo la coppia Ficarra & Picone, con il veterano Servillo e la triangolazione funziona ancora una volta. Questa volta i toni sono meno ilari e più cupi, ma del resto racconta senza retorica un pezzo di storia italiana che è stato scritto col sangue.
Impossibile non pensare a Verga (“Libertà”) e a Tomasi di Lampedusa (“Il gattopardo”), ma probabilmente è anche facile rivedere (soprattutto nel prefinale) nei due cialtroni capaci di arrangiarsi di Domenico e Rosario, i soldati interpretati da Sordi e Gassman ne “La grande guerra” e forse anche, precedentemente, il Germi di “In nome della legge”. Epilogo al veleno, venti anni dopo, dove il dramma è mutato in farsa.
Grande prova degli interpreti, musica, fotografia e montaggio al servizio della storia. Il titolo del film si presta a più interpretazioni, ma forse la morale è che la Storia, quella con la s maiuscola, la fanno anche il caso, gli imprevisti e gli uomini insignificanti che non ti aspetti, non solo gli eroi della versione ufficiale sui libri di testo.
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