‘Ma le cose che abbiamo amato non ritorneranno’.
Bruce Chatwin
Ho appreso per puro caso della scomparsa di una persona di cui non avevo notizie da moltissimo tempo, una mia compagna di classe della prima superiore. 46 anni, un ‘brutto male’, come si dice per non nominare il cancro. Lascia un marito e due figlie.
46 anni è un troppo presto, sì, ma a colpirmi è il fatto che per quella ragazza io avevo letteralmente perso la testa: è stata la mia prima cotta. All’epoca fui travolto, del tutto impreparato, da una serie di sensazioni ed emozioni letteralmente esplosive di cui nessuno mi aveva avvertito. Nessuno ti mette in guardia, niente manuali.
Guardarla di sottecchi durante le lezioni, struggermi per le volte in cui era assente, disperarmi nel dubbio se scriverle o no un bigliettino [No, niente Whatsapp all’epoca. E niente Internet. Niente cellulari. Niente tranne un pezzetto di carta e una biro]
Ovviamente non seppe mai del mio folle amore.
Ma ricordo il giorno in cui mi tenne aperta la porta di ingresso della scuola: non ero così vicino ma lei la tenne aperta per me. Per me e nessun altro, perché in quel momento eravamo soli. Mi sorrise e io riuscii in qualche modo a mormorare un ‘grazie’, forse senza arrossire troppo. Ho in me le sensazioni precise che provai in quel momento: qualcosa che ha a che fare con un’esplosione nucleare, ma fatta di profumi, colori, cose belle. Tutto l’universo in quel momento divenne un inno alla gioia.
Rimase solo un anno, poi cambiò scuola. Pensavo sarebbe stata la fine della mia esistenza, ma la vita non fu d’accordo.
Darei molto, moltissimo per poter ritrovare quella sensazione, ma per quanto io possa dare, certe cose non c’è modo di riaverle indietro
Mi hai regalato uno degli attimi più belli della mia vita, senza averne coscienza.
Ti ringrazio, ovunque tu sia.
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