Accade raramente [com’è ovvio, del resto], ma accade: ogni tot tempo appare un articolo che vale la pena di essere ripreso e riportato qui.
Lo facciamo con un post molto esplicativo di Luca Sofri, Direttore de Il Post.
Dice tutto quel che c’è da dire.
C’è una grande quota di persone (sospetto la maggioranza) che si fa un’opinione sulla applicazione del 41 bis nei confronti di Alfredo Cospito, e sul 41 bis in generale, legata alla gravità dei reati per cui è stato condannato. È interessante e preoccupante perché dimostra quanto sia estesa l’ignoranza nei confronti degli argomenti della giustizia di cui si discute ogni giorno, e sulla base della quale si formano consensi e si prendono decisioni politiche. E quanto sia carente il lavoro di informazione e spiegazione da parte dei mezzi di informazione.
Il 41 bis non è un aggravamento della pena conseguente al reato per cui il detenuto è stato condannato: giudicare la correttezza della sua applicazione a partire dall’indignazione per quello che Cospito ha fatto o – peggio ancora – dal fastidio umano per il colpevole è del tutto privo di senso. Il 41 bis è una misura – discutibile e discussa – le cui “ragioni” sono la presunta pericolosità attuale del condannato nei suoi contatti con l’esterno e l’intenzione di evitare questi contatti.
Chi voglia avere un giudizio deve quindi prendere in considerazione due cose: se il 41 bis – nel suo stabilire delle deroghe e delle eccezioni ai principi sui diritti e alle leggi ordinarie – sia una norma in accordo alla Costituzione (molti pensano di no); e se nel caso del condannato in questione, considerato il carattere eccezionale e grave della deroga in questione, ci siano le ragioni di pericolo indicato.Che “se lo meriti” o no, non c’entra niente.
Il resto è il solito carattere emotivo, strumentale e ignorante del dibattito italiano, e in particolare di quello sulla giustizia.
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