13 novembre 2015, a Parigi si compiono tre drammatici attentati terroristici. Il più sanguinoso al Bataclan, ma non meno drammatici quello ai bistrot nell’XI arrondissement e infine quello al di fuori dello Stade de France. L’avvenimento lo ricordiamo tutti, si colloca in un periodo di attentati terroristici di matrice islamica in Europa, ma cosa succede dopo?
Spinta dall’apprezzamento dello stile di Emmanuel Carrère in L’Avversario, inizio a leggere anche V13 che racconta i 9 mesi di processo giudiziario per le stragi parigine. Non lo leggo per morbosa curiosità del dolore, ma perché conoscere, anche per poche righe, le vittime, i sopravvissuti e i familiari tiene accesa la luce della memoria, quasi un dovere morale per me.
Gli antefatti: il 7 gennaio 2015 c’era stato l’attentato alla sede di Charlie Hebdo. Avevo 21 anni e ricordo i pomeriggi passati a guardare France24 perché sconvolta da quanto successo. Ancora di più lo fui per il 13 novembre. Secondo antefatto: ho seguito per anni il maxi processo Minotauro alla ‘ndrangheta in Piemonte, con lunghe udienze serrate nell’aula bunker del carcere di Torino e poi nella maxi aula 1 del Palazzo di Giustizia, un’esperienza totalizzante, che ricordo vividamente.
Ma veniamo al libro, in realtà una raccolta ampliata dei reportage settimanali che Carrère scrisse per Le Nouvel Observateur (l’Obs). Nelle parole dello scrittore ritrovo tutto quello di cui avevo fatto esperienza: il dolore (“Occupatevi dei vivi” urlato dai soccorritori), la commozione per le storie delle vittime (“Un’esperienza unica di terrore, pietà, vicinanza, presenza”), la fascinazione per gli aspetti tecnici del processo (“[…] illustra come nel corso di un processo la nostra prospettiva cambi continuamente”), l’immersione totale nei fatti (“Come tante altre parti civili, Nadia e Yann hanno una conoscenza impressionante dell’incartamento. Sanno tutto, le loro conversazioni sembrano cifrate”), le pause durante le udienze (alla macchinetta del caffè con gli imputati e i familiari, persino la coincidenza della luce che all’improvviso si spegne in aula). Addirittura l’ironia di alcuni scambi di battute (“Abdeslam, professione?” “Combattente dello stato islamico” “Io, qui, vedo: lavoratore interinale”) e così via in un susseguirsi di dettagli mai prolissi e sempre puntuali e concreti.
Carrère riesce con grande lucidità e misuratezza a portare fuori dalle mura del Palazzo di Giustizia un’umanità lacerata che tenta di ricostruire la storia (o la Storia) per dare giustizia a una comunità intera.
Nessuno restituirà la vita alle 130 vittime (più una, morta in ospedale dopo una settimana), nessuno è costituito parte civile per accaparrarsi denaro: “le parti civili vengono al processo perché la loro sofferenza sia ascoltata e per ottenere un conforto morale, non un risarcimento economico”. Ci vuole un notevole sforzo per ascoltare le ragioni degli imputati e per non identificare i loro avvocati come collusi con gli ideali degli attentatori solo perché ricoprono il ruolo di loro difensori. Allo stesso tempo ci vuole un notevole sforzo anche solo per leggere il dolore insuperabile e indelebile dei sopravvissuti.
Senza parteggiare per nessuno, Carrère racconta la dimensione collettiva che si crea nell’aula del palagiustizia dall’8 settembre 2021 al 29 giugno 2022. Una comunità che tutti i giorni si trova al bar del tribunale e sempre lì si scoglie a fine processo, in una serata in cui i ruoli cadono e ci si trova mischiati tra avvocati, imputati, parti civili e giornalisti.
Il resto è storia.
*i numerosi e dovuti virgolettati sono tutti tratti dalle pagine di V13.
*altro consiglio di lettura, in fatto di stragi e processi è Il silenzio sugli innocenti. Le stragi di Oslo e Utøya. Verità, bugie e omissioni su un massacro di socialisti di Luca Mariani.
V13 (occupatevi dei vivi) by Collateralmente is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.
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