Da anni mi sono messo in testa di leggere il maggior numero possibile di libri appartenenti alla cosdetta ‘letteratura classica’: i Russi in primis, ma anche molti europei e qualche americano [Sì, considero Hemingway, Steinbeck e Saul Bellow degli autori classici].
Ho dato poco retta alle mode, ai premi letterari e addirittura ai Nobel contemporanei perché, per l’appunto, ero impegnato in letture assai vaste e per certi versi complicate.
C’è un grande ‘però’, che mi è stato segnalato da buon Zummone [amico, collega di podcast e lettore voracissimo]: si tratta di ‘Una vita come tante‘, di Hanya Yanagihara.
Questo libro è un capolavoro, non ho molte altre parole per descriverlo: potente, innanzitutto, ma delicato; riesce a raccontare una storia durissima [ma durissima davvero, eh] con un taglio lieve, direi quasi dolce. È uno di quei romanzi che lasciano un segno deciso nell’anima oltre ad essere un pilastro letterario di assoluto rilievo, uno di quelli che svettano in quel cielo azzurrissimo della Grande Letteratura.
La storia è semplice [si fa per dire]: narra le vite di 4 amici nel corso del tempo, con i drammi, la felicità, le insidie nascoste nelle pieghe della vita. C’è tutto quanto, scandito da un ritmo narrativo che difficilmente si riesce a incontrare, soprattutto in tempi come questi.
Uno di quei libri che ti fanno pensare ‘Leggilo piano, gustalo, perché purtroppo finirà’. Così, quando l’ho finito, mi sono preso qualche giorno per rifletterci su, per assaporare quel retrogusto straordinario. Poi, parlandone a cena, mi è sbucato un pensiero inatteso, un paragone forse improprio con ‘La storia’ di Elsa Morante.
Ogni volta che dico che ‘La storia’ non mi è piaciuto vengo additato quasi unanimemente come un pazzo sacrilego; non posso farci niente: non mi è proprio piaciuto e non per lo stile, ci mancherebbe: Elsa Morante è entrata a pieno diritto nel novero dei grandi scrittori del 900 e non sto parlando di bravura, ma dell’impronta che un libro mi lascia dentro. Letta l’ultima frase de ‘La storia’, ho sospirato e rimesso il libro nella libreria pensando ‘Finalmente è finito’. Ci ho messo un po’ a scovare il perché di quella sensazione, poi ho capito che mi aveva disturbato l’assenza di speranza: alla fine della Storia rimane solo la morte. Si può dire: “Eh, perché, come vanno a finire tutte le storie?”. Vero, certo, ma almeno qualcosa dovrebbe rimanere, o continuare dopo di noi. E se non è così, se non c’è un briciolo di speranza, di luce, che viviamo a fare?
Così invece sì: nel terreno della crudezza, del dolore, della sofferenza, del rimpianto e della violenza ‘Una vita come tante’ ha un che di sottile e lieve, una sorta di carezza dolce che fa respirare e che mi ha fatto pensare ‘Vorrei che questo libro non fosse finito mai’, e adesso che è finito la sua impronta rimarrà forte e salda in quel luogo dove vivono le mie storie preferite.
‘Una vita come tante’ Vs ‘La Storia’ by Collateralmente is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.
Lascia un commento