E così, siamo di nuovo in piazza, come ogni anno, il primo giorno di primavera. È la 29sima giornata della memoria e dell’impegno, in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Questa volta la città della manifestazione è Roma, alle 9 del mattino piazza dell’Esquilino brulica già di una folla colorata, proveniente da tutta Italia, in prevalenza composta da ragazze e ragazzi molto giovani. Una brezza frizzante sferza l’aria, il cielo è limpido, il sole splende. Raggiungo il gruppo del Piemonte percorrendo via Merulana e subito penso a Gadda e a Pietro Germi, con il suo commissario Ingravallo, nel film “Un maledetto imbroglio”.
Trovo il gruppo dei piemontesi, molti sono arrivati in bus viaggiando tutta la notte, ma l’euforia prevale sulla stanchezza, come sempre in queste occasioni. Mi accodo alla massa di volti conosciuti della mia città, sto patendo il mal di gola che mi rende faticoso parlare e mi costringe a guardarmi intorno e a riflettere in solitaria. Il che non è per forza un male, anzi.


Penso che il mio primo 21 marzo fu a Gela, nel 2004, quindi venti anni fa e porco cane se il tempo è volato.
Penso, mentre il corteo si snoda per il centro di Roma, che alcune persone che incontro le vedo solo quasi una volta all’anno, in questa giornata, ma è comunque bello abbracciarsi così.
Penso che molti dei ragazzi e delle ragazze di Torino li ho visti crescere, incontrati nelle loro scuole che erano adolescenti e oggi fanno l’università o l’han finita, ed è quindi anche mia responsabilità (o colpa) se oggi siamo insieme qua e non altrove.
Penso che vederli cantare lungo la marcia, da “Fischia il vento” a “Maledetta primavera”, passando per Caparezza, mi commuove in egual misura e ormai è accertato che sono diventato un vecchio sentimentale.

Nella cornice del Circo Massimo, ascoltiamo quell’elenco brutale di nomi: 1081 persone, donne, uomini e bambini uccisi dalle mafie. Dovrei essere abituato, ma ogni volta un brivido corre lungo la schiena.
Quando Don Luigi Ciotti prende la parola, la prima cosa che fa è redarguire i politici che parlano dietro l’enorme palco (ho riconosciuto la Schlein e Conte, per citare i più noti). Dice loro di venire davanti al palco, in mezzo ai famigliari delle vittime, ad ascoltare. Penso che solo Ciotti puó permettersi un esordio del genere, in gamba tesa, nel corso di un intervento che apprezzeró particolarmente, per la lucidità e l’analisi. E sempre lui mi commuove, citando in conclusione un dialogo di quel capolavoro di Rossellini che è “Roma città aperta”, dal momento che lo slogan di quest’anno era Roma città Libera.

Quando tutto si conclude, passeggio per Roma, incontro facce note e altre sconosciute, mi intrattengo con qualche amico, che si impegna in Libera in una città diversa dalla mia. Siamo tutti rossi in viso, per il sole sotto il quale siamo stati.
E penso che questa Italia in cui viviamo non mi piace, per molte ragioni, ma vale ancora la pena di provare a farla un po’ più bella e giusta.
Il 21 marzo è la ricarica di tutta l’energia necessaria per andare avanti.
Non è ancora il tempo di arrendersi.
È il tempo, come diceva quel poeta di Fabrizio da Genova, di continuare a camminare “in direzione ostinata e contraria”.

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