Iran, giorni nostri. Su una strada notturna e poco illuminata, viaggia una famiglia di 3 persone: padre, madre incinta e figlioletta. Un banale incidente lungo il percorso, costringerà l’uomo a cercare un meccanico. Da qui una serie di conseguenze a cascata. L’uomo in questione è un agente dei servizi segreti e torturatore di prigionieri? Se lo chiede Vahid, che lo sequestra e vuole uccidere. Indeciso sull’identità dell’uomo rapito, Vahid coinvolge altre persone, anch’esse imprigionate in passato e vessate con violenza: una fotografa, due futuri sposi, un uomo facilmente irascibile.
Fino a che punto vittime e carnefici possono scambiarsi di ruolo? E la vendetta è moralmente accettabile e fino a che livello? Jafar Panahi, che ha scritto e diretto questo film, se lo chiede, seminando tanti dubbi e lasciando il giudizio allo spettatore. Ma la storia del regista parla chiaro: lui ha conosciuto davvero le carceri iraniane.
“Un semplice incidente” è un atto d’accusa potente e bellissimo a uno dei regimi più oscurantisti del presente, con punte di ironia beffarda e venature grottesche. Palma d’oro allo scorso Festival di Cannes: una scelta politica e necessaria. Verso la fine ha un crescendo emotivo importante e un epilogo sospeso, di grande forza. Non perdetelo.
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