Sì sì, lo so che state seguendo tutti il Festival di Sanremo e siete con il fiato sospeso per la finale.

Però avevo l’urgenza di raccontarvi un altro tipo di musica, già sapendo che non troverò le parole giuste e lo stesso trasporto e precisione di Federico Sacchi.

È la seconda volta che mi trovo qui a raccontarvi un suo spettacolo: quello di ieri sera al CineTeatro Baretti, con doppio appuntamento nella stessa serata (una mezza maratona in pratica), aveva come protagonista Terry Callier. Nel giro di due ore circa, sono passata dal non sapere come si pronunciava il suo nome, all’iscriverlo nell’Olimpo dei miei cantanti e musicisti preferiti.

Ma partiamo dall’inizio: a 19 anni io ero al mio ultimo anno di liceo classico a indirizzo musicale. Avevamo un’ora di coro settimanale in cui sperimentavamo quello che il tempo e le risorse ci permettevano (che presentato così non è un granché, ma eravamo bravini). Io ero abbastanza soddisfatta della mia voce, registro soprano, ma poca potenza.

Bene. Terry Callier, a 19 anni, cresciuto in un quartiere povero e malfamato, cantava e incideva questo.

“900 Miles” è la seconda canzone dello spettacolo, ma già la profondità e la maturità musicale della prima mi avevano rapita e lasciato senza fiato.

Il ragazzo cresce bene, arriva alla Chess Records e gli propongono di andare in tour con Etta James. Ma negli Stati Uniti era ancora minorenne, e la madre di Terry è categorica: prima si finiscono gli studi, poi la musica. Già qui, con tutto il rispetto per la carriera scolastica, penso che ci siamo persi un universo musicale pazzesco.

Callier è indubbiamente dotato, ma anche sfortunato: produce brani che precorrono in tempi, rimbalza da una casa discografica all’altra e il destino che lo perseguita è spesso lo stesso: lodi e riconoscimenti per la sua musica, ma master registrati e abbandonati nei cassetti per anni.

Tre vite per Terry Callier, quindi, perché a ogni battuta d’arresto bisogna ripartire con nuovi progetti, nuovo genio e nuove registrazioni che però non riscuotono il successo che meriterebbero.

L’ultima vita di Callier è quella che lo vede fresco di laurea in sociologia alla soglia dei 40 anni, dipendente dell’University of Chicago e con la custodia della figlia tredicenne. La chitarra appesa al chiodo, forse definitivamente. Forse, perché quello che non sa è che nella cultura underground inglese Terry Callier spopola, e dopo una ricerca certosina sugli elenchi telefonici il dj Eddie Piller lo contatta e lo convince a tornare sulle scene musicali.

Da lì la diffusione meritata, con concerti in gran parte dell’Europa e finalmente il giusto riconoscimento per la sua arte.

Terry Callier è precoce, l’ho detto all’inizio con l’esordio a 19 anni, l’ho detto a metà con le produzioni che precorrono i tempi, e purtroppo lo dico anche alla fine: a soli 67 anni, un cancro alla gola lo porta via, il 28 ottobre 2012.

Ho tralasciato moltissime cose della sua arte e delle collaborazioni musicali che realizza, ma spero di avervi trasmesso lo stesso stupore e la stessa meraviglia che ho vissuto io ieri sera: nella testa, accanto alle canzoni, la stessa frase in loop “Non ci posso credere”.

Per vivere in parte lo spettacolo di Federico Sacchi con una selezione musicale, sul suo profilo spotify (federico sacchi musicteller) trovate la playlist delle canzoni suonate, e di quelle a cui Terry Callier collabora.

Buon ascolto!

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