Guardando un documentario sui viaggi spaziali mi è capitato di ripensare a un mio professore che  insegna[va] storia, filosofia e letteratura italiana.

Dopo la fine del liceo abbiamo iniziato a vederci insieme a tre o quattro altri ex allievi per mangiare qualcosa e fare quattro chiacchiere; non si trattava di un circolo letterario né di altro club ristretto che avesse una struttura: si stava a cena e si parlava del più e del meno, e a volte ne usciva qualcosa di buono, qualche buon pensiero da portarsi a casa e che poi all’occorrenza avrebbe potuto rivelarsi utile anche nella vita in genere.

Una di quelle sere eravamo sul suo balcone a fumare dopo il caffè, e guardando la stellata che il cielo su Torino ci offriva gli dissi: “Come ci si sente piccoli, eh?”

“Ubezio che banalità. E poi, parla per te”.

“Va bene, ma tutte quelle stelle, eh!”

“Sassi di fuoco”

“Mi spieghi?”

“Se è il pensiero che ci definisce, e io credo che sia così, allora sentirsi piccoli di fronte a una qualsiasi cosa che non è in grado di esprimere un pensiero è un assurdo. Voglio dire: sei piccolo da un punto di vista dimensionale, perchè tu sei un ragazzino e lui è un sasso gigantesco che brucia fluttuando nello spazio, ma la questione finisce lì. In sintesi: tu sei in grado di pensare al sasso di fuoco gigante, sei in grado di definirlo dandogli un nome, osservare i suoi cambiamenti, studiarlo o ignorarlo. Lui non solo non può fare alcuna di queste cose nei tuoi confronti, ma non sa nemmeno di poterlo fare. Non sa nemmeno di essere un sasso gigante che brucia nello spazio. Quindi chi è più grande tra te e lui?”

Continuo a sentirmi piccolo come tutti di fronte al cielo, ma da quella sera un po’ meno.

 

 

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