“Io non lo so cosa ti aspetti che ti dica, ma non ho tempo e non mi ricorderò come ti chiami da qui a un minuto. Porta il culo sullo scooter del fotografo e andate al mercato di Piazza Madama Cristina ché hanno accoppato un moro. Finchè non hai fatto la nera per un po’ col cazzo che ti possono chiamare giornalista”

Il mio primo direttore mi salutò così. Non era quel che definirei una bella persona, ma mi ha insegnato qualcosa nel periodo in cui sono rimasto nel suo giornale, e quando è morto sono andato al suo funerale [Non eravamo in molti].
Scrivo questo perchè già due persone mi hanno detto: “Dì, ma hai visto che storia quella del piccolo Loris’? E al mio ‘No, non ho visto che storia‘ è scattato il “Eh ma che giornalista sei?”
La nera l’ho fatta due volte prima di capire che non faceva per me. Mica per questioni di stomaco, eh: ho fotografato due volte un cadavere a pochi passi di distanza, ricordo bene la consistenza un po’ strana ed inaspettata del sangue che scivola sull’asfalto, quella strana eccitazione che accende le persone. Credo che il fascino della ‘nera’ sia questo, in fondo: quell’eccitazione che prende le persone di fronte al dramma. Chi era? Come è morto? Quante coltellate? Guarda quanto sangue..
Su di me la nera non ha mai esercitato alcun fascino: penso ai grandi fatti di cronaca di questi anni, Erika che ammazza mamma e fratellino con la complicità del fidanzatino Omar, la Franzoni e il delitto di Cogne che tanto lavoro ha dato ai costruttori di plastici per il salotto televisivo di Bruno Vespa, il delitto di Garlasco, fino ad arrivare alla mamma di Loris arrestata ieri con l’accusa di aver aver ucciso il proprio figlio..
Capisco che queste cose eccitino gli animi, ma solo perché vedo che è così. Così come non ho mai sporto la testa dal finestrino per vedere meglio i dettagli di un incidente d’auto, allo stesso modo non riesco ad appassionarmi a queste cronache. Che poi spunta il plastico da Vespa, lo psicologo, il criminologo, fino ad arrivare a Signorini che intervista il cane del cugino di un amico del marito della madre assassina; e al bar senti condanne senza appello o assoluzioni basate sul nulla, perché ‘quella lì c’ha na faccia, dai!…”
Non voglio passare per freddo, ma la ‘nera’ è la narrazione di vicende che si ripetono uguali a se stesse nel corso dei secoli, da sempre: infanticidi, parricidi, violenze che si acuiscono seguendo addirittura il ciclo delle crisi economiche [Leggi QUI oppure QUI]: è il male, la parte oscura, una cosa che è dentro di noi.
La cronaca nera è una strada dagli innumerevoli svincoli segnati dallo stesso cartello.

CC BY-NC-ND 4.0 La ‘nera’ e le sue strade sempre uguali by Collateralmente is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.