Ecco un nuovo articolo dell’itinerante fratello di Zummone.
Honk Kong – 01.07.2019
Avrei voluto scrivere un post decente sui fatti di Hong Kong. Ci ho provato mentre proprio da lì mi dirigevo verso Singapore. Avevo pensato come quasi doveroso scriverlo, dato che per puro caso mi sono trovato là e ho dedicato parecchio tempo (se rapportato alla breve durata del mio soggiorno laggiù) a tentare di capire di più sulle proteste, andando a vedere il corteo, parlando di questi fatti con le persone locali che ho conosciuto e partecipando anche a un incontro/dibattito sui fatti il giorno successivo.
Non ci sono riuscito, probabilmente non avevo l’ispirazione. Non che volessi fare chissà quale analisi (sicuramente online si trovano punti di vista più interessanti a informati del mio), però alcune cose mi hanno davvero colpito e ho avuto davvero un po’ l’impressione di essere stato in un posto dove si stava scrivendo una pagina di storia.
Mi limito a condividere qualche foto di pessima qualità con un paio di commenti.

La prima è l’area del parlamento già presidiata dall’avanguardia “più dura” quando il corteo non era ancora arrivato. L’aria era tesa e i volti stanchi. Era l’avanguardia che alcune ore dopo avrebbe sfondato, come si è visto nei telegiornali di tutto il mondo. Non si potevano fare foto e quello, purtroppo, è l’unico scatto rubato. Vedere tutti quei ragazzi che avevano creato barricate, pronti con elementi e occhiali protettivi, non poteva che portare alla memoria un pezzo della nostra storia recente (anzi, più di uno). Mentre ero là pensavo alle differenze culturali tra gli asiatici e noi. (Asiatici. Curioso, no? Mi pare il 61% della popolazione mondiale viva in Asia, ma se diciamo “asiatico” non pensiamo a un indiano, un siberiano o un saudita, ma a un abitante dell’estremo oriente o del sudest asiatico. Se sentiamo la parola “asiatico” istintivamente pensiamo “occhi a mandorla”). Come in tanti aspetti della vita, gli “asiatici” sono più omogenei, uniformi, dentro gli schemi. Tutto hanno il medesimo casco e i medesimi occhiali, nessuno aveva atteggiamenti eccentrici o tentava di distinguersi dalla massa. Il corteo era orientato, con cartelli stampati e standardizzati. Comunque questi occhi (chissenefrega se a mandorla o meno) li ho ancora ben presenti: stanchi, determinati, spaventati. Nell’incontro il giorno seguente ho sentito che per moltissimi dei giovani manifestanti questa è stata la loro prima mobilitazione. Teniamo conto che è stata forse la più partecipata della storia di Hong Kong e anche solo per ragioni anagrafiche molto di questi appena ventenni non potevano essere presenti alle ultime grandi proteste del 2014. (Rileggendo questa frase mi sono reso conto come ho dato per scontato un’altra differenza: perché un ventenne nel 2019 non poteva essere in una manifestazione a 15 anni nel 2014? Perché a quell’età si studia e non si mette in discussione nulla! Se qualcuno di loro c’era, sicuramente non avevano il caschetto e gli occhiali per i gas lacrimogeni!). La seconda foto aiuta ancora di più a capire la succitata differenza culturale. A pochi metri delle barricate è stato creato un piccolo memoriale per la prima delle tre “vittime” delle proteste. Le virgolette perché non è certo che il suicidio di questo 21enne fosse un atto di protesta vero e proprio collegato alla legge sull’estradizione o addirittura se fosse stato solo un incidente, seppure il messaggio che ha lasciato fosse molto esplicito.

(https://www.hongkongfp.com/…/21-year-old-hong-kong-student…/) Per le persone in piazza è il loro martire. La compostezza con la quale i ragazzi si avvicinavano in quelle angolo, rivolgendo una preghiera a mani congiunte, o lasciando un fiore o un origami (!) mi ha lasciato senza parole e davvero commosso. Avrei voluto fare più foto, ma mi sembrava poco opportuno, con il mio zainetto rosso e l’improbabile camicia a maniche corte da turista, in mezzo a tutte quelle maglie nere. La foto dopo, rappresenta le vittime insieme, perché per manifestanti altri due suicidi sono considerabili atti di rivolta e protesta, seppure gli ultimi due casi siano ancora più controversi (https://www.dimsumdaily.hk/copycat-anti-extradition-suicide/). A parte quella del corteo, ho aggiunto ancora una foto di una delle tantissime immagini, post-it, scritte di cui l’area del centro è tappezzata; la scritta recita: “alcuni nostri amici ci hanno lasciato, ma noi, Hongkongers, non molleremo.” Queste parole, unite ai discorsi fatti con un paio di amici del posto e la conferenza che a cui ho partecipato fanno capire qual è la situazione. A Hong kong, seppure gli abitanti siano al 95% di etnia cinese e formalmente il territorio cittadino seppure con un’amministrazione speciale sia parte integrante della Cina, la maggior parte delle persone non si sente cinese e parla della Cina (“China Mainland”) come di una nazione straniera, spesso vista come ostile. Nonostante a Hong Kong, specialmente le nuove generazioni, non abbiano nessuna intenzione di mollare, c’è una rassegnazione di fondo. Nel 2047 finirà lo status speciale di questa città e non ci sarà da protestare per nessuna legge sull’estradizione, in quanto non ci sarà nessun sistema giudiziario indipendente da quello di Pechino. 28 anni sono tanti, ma tutti sanno che si può vincere la battaglia ma non la guerra sul lungo termine, seppure la storia ha sempre dimostrato come sia difficile prevedere evoluzioni politiche, anche a brevissima distanza. Quegli occhi di chi realisticamente vivrà una buona fetta della loro vita in una società molto differente, forse più che stanchi e impauriti avevano solo un velo di rassegnazione.
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