Simone Camilli e James Foley sono due giornalisti uccisi a distanza di pochi giorni uno dall’altro.
Scrivo questa lettera a mia figlia anche per cercare di onorare la loro memoria, per come posso e so fare.
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Cara Carlotta,

ti scrivo spinto dalla ruga che ho visto corrucciare il tuo sguardo alla notizia di un altro giornalista morto ammazzato.

Quella ruga viene dalla tua preoccupazione [papà fa il giornalista], e precede la domanda che ogni bambino o ragazzino si pone in casi come questi: perchè?

E’ un bene sacro, questa domanda. Mi dici spesso che da grande vorresti fare giornalismo anche tu, così ti scrivo per darti un paio di ‘dritte’, e lo faccio pubblicamente nella speranza di onorare i due sacrifici di cui abbiamo avuto notizia in questi giorni.

Girano in queste ore centinaia, migliaia di foto e di video che ritraggono gli ultimi istanti di vita di un uomo: di lì a poco verrà ucciso da un altro uomo. Posso dirti alcune cose rispetto a questo fatto: non unirti mai [ma proprio MAI] a quelli che etichettano avvenimenti come questo alla voce ‘Insensatezze’, ‘Follie’. Ne sentirai a mucchi dire che quelle di Camilli e Foley sono morti ‘insensate’.

Non gli credere. Non è vero. Chi lo dice lo fa per paura ma tu non ne avrai, forte di quella domanda: perchè? Perchè? E’ un mantra, un tatuaggio mentale che se sarai brava riuscirai a non fare sbiadire da cinismo o età.

Camilli e Foley sono morti per una moltitudine intrecciata di cause perfettamente definite e definibili da un giornalista che sa fare il suo mestiere: sono dei ‘perché’ fatti di potere e denaro che si autoalimentano e talvolta si nascondono dietro a libri che parlando di dei offuscano le menti, giustificano le peggiori azioni, annichiliscono, violentano e uccidono il ragionamento.

Non cascare nella trappola del ‘nonsense’: la morte ha un motivo, proprio come la vita; tu cerca e se sarai molto fortunata o molto sfortunata [vedi alla voce Ilaria Alpi], troverai.

E mentre cerchi, distogli l’attenzione dal rumore di fondo, che siano urla o chiacchiericcio. Diffida [come è brutto, pesante scrivere alla propria figlia di diffidare] di chi spaccia per informazione la messa on line del video di una decapitazione. Mente sapendo di mentire, utilizza una morte per attrarre ‘lettori’ e commette così un delitto, forse meno grave dell’omicidio filmato, ma lo commette; è un delitto sottile, come spargere un veleno che depotenziando la coscienza a poco a poco la rende una cosa inerte, avvezza ad ogni tipo di barbarie, incapace di destarsi indignata.

Chiediti, da brava giornalista: cosa aggiunge all’informazione il video di una decapitazione? Niente. Toglie, anzi. Toglie a tutti noi l’idea [evidentemente peregrina ma tenace] di essere diversi da chi fino a non tanti anni fa portava i propri figli a vedere le esecuzioni capitali in piazza.

“Non voglio vedere un uomo che ne decapita un altro. Voglio informare del fatto che è successo, capire il perché, approfondire e portare l’attenzione dell’opinione pubblica in quel luogo così che quel che c’è sotto venga a galla e qualcuno faccia qualcosa per fermare questa barbarie”. Ecco cosa penserai se saprai fare il tuo mestiere, che sarà informare e non fare la buttadentro per il giornale/blog/notiziario per cui lavorerai.

Tra due settimane [è un calcolo ottimistico ma tu contale, da oggi] di Simone Camilli e di James Foley non ci sarà più traccia nel dibattito nazionale; non è uno sfoggio di falsa ingenuità la mia: so bene che l’informazione muore giovane. Ma credo nel senso del limite, perché i limiti ci definiscono e ci aiutano a capire di noi stessi.

In questo lavoro inizi sempre da un foglio bianco definito da margini. Ti auguro nel caso tu voglia scriverci sopra di riempirlo al meglio, anche per onorare la memoria di chi su quel foglio ha lasciato la propria vita.

Papà.

CC BY-NC-ND 4.0 Due morti e una lettera per mia figlia by Collateralmente is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.