Luca Chiappara ha quasi 28 anni e suona da una vita. Qualcuno ricorderà averlo visto bazzicare il mondo di Acmos qui a Torino, negli anni dell’adolescenza. Adesso è in procinto di lasciare l’Italia per continuare la sua carriera di musicista all’estero. Ho provato a fargli qualche domanda perché questo gesto mi incuriosisce e mi fa riflettere.
Ti ho conosciuto nel 2008 che suonavi un basso quasi più alto di te e andavi al liceo; che hai fatto in questi 12 anni? Facciamo un po’ di riassunto delle puntate per chi ci legge…
Fondamentalmente la svolta è stata quello di passare dalla musica come passione, anche in cantina a suonare per me stesso e il provare a farlo per vivere. Lo spartiacque è stato il 2012 quando sono andato a Palermo. Dopo alcuni lavoretti in altri campi, ho scelto di reinventarmi un lavoro con le uniche competenze che avevo. All’epoca sono entrato in una band amatoriale, per suonare il contrabbasso, anche se non ne ero capace e mi sono messo prima a studiare. Il tutto è cominciato per far fronte a un’esigenza economica. Quando sei con le chiappe a terra, metti tutto te stesso per rialzarti.
Domanda da profano della materia: quanto è difficile passare dal basso al contrabbasso?
Sono due strumenti molto diversi, ma con lo stesso approccio. E’ stato faticoso, perché il contrabbasso ti fa venire le bolle sulle mani e anche sanguinare le dita.
Ho pensato al film “Whiplash”. Quindi si può sanguinare veramente facendo musica?
Assolutamente sì. Quel film è un po’ esagerato forse, anche la figura quasi romantica dell’istruttore feroce, ma sicuramente racconta la realtà della disciplina, per suonare in un’accademia del genere. Tra l’altro quel film me l’ho hai consigliato tu.
Non ricordavo. E dopo Palermo che è successo, per tornare al discorso?
Avvicinandomi così tanto alla possibilità di fare solo musica per vivere, ho capito quanto mi piacesse e mi appassionasse. E poi, essendo il tuo lavoro, giungi alla consapevolezza che devi dedicarti solo a quello. Quindi lì ho capito che dovevo applicarmi ancora di più. La seconda novità, oltre al contrabbasso, è stata la scoperta di un nuovo genere cui dedicarmi: la musica tradizionale americana, cioè quella che ha origine nel country, nel blues e nel jazz e le sue derivazioni. Nel giro di un anno e mezzo mi sono ritrovato da una dimensione di band locale a una che faceva concerti in giro per il mondo (Stati Uniti compresi), spesso abbiamo accompagnato solisti sul palco.
Perchè gli Usa e perché il Tennessee?
Perchè è arrivato quel momento, ormai. Questo si deve anche e soprattutto all’incontro con un artista californiano che mi ha fatto crescere tanto, perché è una persona molto esigente. Nashville (chi si ricorda del film di Altman? ndr) è la patria del country ed è quello il campo in cui voglio affermarmi. Nashville sarà un esercizio molto pesante, perché là puoi suonare in date anche da 3-4 ore consecutive, cosa impensabile in Italia o in Europa. Questo ti costringe a trovare un equilibrio e ad allenarti sempre di più.
Ti aspetti di vivere della tua carriera di musicista? Come ti immagini tra dieci anni?
Mi auguro di trovare l’America in America. Perchè tutto il meglio della musica arriva da lì attualmente. Tra dieci anni spero di aver fatto il boom, altrimenti sarò tornato indietro forse. Spero di fare cose che mi soddisferanno musicalmente, sempre più ad alto livello e curando i dettagli nei minimi particolari. Per ora sono disposto a stare lontano da casa.
Non ti dispiace lasciare il Paese in cui sei nato, anche sei sempre stato una trottola o come la pianta di Leon (ndr: senza radici)?
Subisco poco la questione del confine, penso che sia più importante fare qualcosa per difendere un’eccellenza artistica, come la musica. D’altra parte mi porto dietro un grande bagaglio culturale italiano: ci sono cose che ho imparato, anche in altri campi della vita, che resteranno sempre con me. Poi ci sono i rapporti umani, ma sono sempre stato capace di non farmi condizionare da questi ultimi. Più leggo Steinbeck e più mi faccio forza sulle motivazioni della mia scelta: sto assecondando una ricerca più vecchia di me, come quella dei migranti che cercavano fortuna un secolo fa e di più, attraversando l’oceano. Il musicista che chiede il visto per gli Usa, parte veramente senza nulla in mano, oltre al suo strumento, e parte in base a quello che sa fare e non a quello che farà o ha già concordato di fare. E’ una scommessa.
Buon viaggio, Luca!
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