La pubblicità comparativa è una cosa seria. Lo è talmente tanto che in Italia, dalla sua introduzione, non abbiamo mai assistito a picchi epocali di utilizzo. Confrontare i propri prodotti con quelli di un’azienda concorrente è un esercizio effettivamente complicato. Gli Stati Uniti ne hanno fatto abbondante uso da sempre (Pepsi e Coca Cola sopra tutti), in Italia al massimo siamo arrivati a spingerci sino alla comparazione tra detersivi e poco altro, partendo addirittura da comparazioni fra prodotto e concorrente coperto da privacy. Il messaggio era piuttosto diretto: Dixan è meglio di chiunque altro, ce ne vuole di meno e pulisce meglio. Ma non arrivava mai a confrontarsi direttamente con un Dash o un Coccolino (che nel frattempo si cullava l’orsacchiotto morbido e andava bene così).

Una delle prime querelle tra marchi fu proprio fra Dash e Dxan; non finì a tarallucci e vino, ma soltanto dopo un annetto di discussioni in tribunale. Già perché, in fondo, non vale proprio tutto nemmeno nella comparazione: “La comunicazione commerciale deve evitare ogni dichiarazione o rappresentazione che sia tale da indurre in errore i consumatori, anche per mezzo di omissioni, ambiguità o esagerazioni”.

Come suggerisce molto bene l’agenzia Adcomunicazione , dall’altra parte dell’oceano ci battono di moltissime lunghezze, e alcune guerre pubblicitarie sono al limite del leggendario.

C’è quella di Pepsi, da sempre più rancorosa verso la rivale Coca Cola, che non perde davvero occasione per superarsi, tipo: “Vi auguriamo uno spaventoso Halloween”, con la lattina di Pepsi “travestita” da Coca.

C’è stata una guerra epica a suon di cartelloni pubblicitari fra Bmw ed Audi, disfida mandata in campo a Santa Monica e vinta abbondantemente dai primi, ma iniziata timidamente da Audi con un pannello stradale che rappresentava una bella auto sportiva, col messaggio “a te la mossa”, riferendosi a Bmw come negli scacchi. L’altra compagnia tedesca senza lasciarsi scappare l’occasione pubblicò quindi a fianco una gigantografia della propria sportiva in commercio dando ad Audi “scacco matto”. Finita qui? Audi tirò fuori un terzo cartellone con la sua super sportiva. Messaggio? “La tua pedina non può competere con il nostro re”. Sembrerebbe la conclusione, ma l’ultima parola se la prese Bmw appendendo al cartellone un dirigibile che mostra la propria auto da formula uno con il messaggio “game over”.

Vincendo tutto.

 

    

 

Questo per dire che in Italia certe cose non si vedono ed è un peccato, perché la pubblicità del pagliaccio di Mc Donald’s di fronte alla cassa di un Burger King per ordinare con il messaggio “E’ semplicemente più buono” qui non la vedremo forse mai. Almeno non in questi termini.

C’è del genio nella pubblicità? E’ una forma d’arte moderna?

Qualcosa si sta muovendo anche in Italia, e lo dimostrano alcuni recenti slanci. Non si tratta di comparazione, ma comunque di uno spostamento in là della nostra tradizione, figlia di una grande scuola ma scarna nello spingersi al di fuori del seminato, eccezione fatta per qualche assoluto genio, che diversi decenni fa aveva già capito quanto non ci sia messaggio pubblicitario più efficace di quello che fa parlare di sé. A costo di non parlare quasi nemmeno del prodotto.

Recentemente questa benevola intuizione è stata colta dalla Motta: i suoi spot sul Buondì si basano su questo principio, dallo scalpore creato dall’asteroide che polverizza una mamma davanti alla figlia, dall’effetto caricaturale del corto, dal fatto di finire sulla bocca di tutti anche se il Buondì quasi non si vede.

Sono partito un po’ da lontano per arrivare ai fazzolettini Tempo in limited edition, la vera musa ispiratrice di questo post, con “Le perle di Pinna”. Da comprare e utilizzare, stanno lentamente spopolando. Frasi ciniche, quel tanto irriverenti, dal linguaggio rapido ed intuitivo. Ottocentomila volte più efficaci delle limited edition a colori o di settore proposte nel passato, magari anche più vicine al prodotto in sè .

“Vorrei tornare a quando ti incontrai per la prima volta ed andarmene” vale l’asteroide della Buondì. E’ un segno dei nostri tempi. E’ geniale, è brutale. E piace. Sono tempi cinici, e cosa può andare più a braccetto se non mercato e cinismo?

CC BY-NC-ND 4.0 C’erano un fustino di Dixan, il Buondì, la Pepsi, Bmw e Audi by Collateralmente is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.