Da piccola ricordo di aver visto Ritorno a Cold Mountain, un film che ancora oggi è tra i miei preferiti. Già allora mi colpì una delle scene iniziali, quando viene annunciato l’inizio della guerra di secessione americana e il giovane protagonista Inman si lascia trascinare (suo malgrado) dall’euforia dei suoi coetanei arruolati, al grido di “Abbiamo la nostra guerra!”.

Non ho mai capito come si possa essere felici di una guerra, orgogliosi di combattere con le armi e non solo con le parole per difendere i propri ideali. Eppure il fascino della divisa e un bel po’ di curiosità mi ha portato a leggere American Sniper, la biografia di Chris Kyle “Il cecchino più letale della storia americana”, come recita la copertina.

Ben presto mi sono resa conto di quanto fossi inadatta a esprimere un giudizio dalla quiete del mio salotto, mentre leggevo di un folle addestramento che impianta nella mente di ragazzi poco più che adolescenti idee di superiorità e prepara il loro corpo a diventare insensibile alla fatica e al dolore. Preambolo che è nulla paragonato alla guerra vera e propria, dove ogni umanità sembra essere estirpata a forza per permettere la sopravvivenza fisica e mentale.

Dopo la prima uccisione, le altre furono più facili. […] guardo nel mirino, metto il bersaglio al centro del reticolo e uccido il nemico prima che lui uccida uno dei miei.

Semplice. Pulito. Efficace.

Kyle non prova neanche a nascondere il disprezzo che prova per la popolazione irachena contro cui combatte. L’appellativo più gentile che riserva loro è “selvaggi”, e più volte sottolinea che lui combatte per proteggere i suoi compagni e la sua Patria, non per portare la democrazia in quel Paese (che già è uno slogan propagandistico di dubbia credibilità). I valori del Navy SEAL sono chiariti fin dall’inizio: Dio, Patria, Famiglia. Un Dio in cui crede con una forza e una convinzione che io, da atea, non riesco neanche a concepire. E una Patria anteposta addirittura all’amore per la moglie e i due figli. Insomma, perfettamente in linea con lo stereotipo del patriottismo americano.

Eppure, come se tutto questo non fosse abbastanza, c’è qualcosa che risulta ancora più intollerabile da comprendere e accettare, ed è il piacere perverso di vivere la guerra come se fosse un grande videogioco. Kyle parla di “uccidere in modo creativo”, di “divertimento” addirittura. Se posso accettare che in un contesto estremo ci si debba corazzare dietro alla fredda brutalità per scegliere se uccidere o rischiare di essere uccisi, rimane per me inaccettabile dimenticare che si tratta pur sempre di vite umane cancellate. Non solo quelle dei combattenti iracheni che per convinzione o per plagio soccombono alla guerra, ma quelle delle migliaia di civili che subiscono un fuoco incrociato che lascia ben poche speranze di vivere una vita degna di questo nome.

Leggo American Sniper e intanto penso all’agghiacciante cartolina di Natale della deputata del Nevada Michele Fiore e alla preoccupante ascesa del repubblicano Donald Trump.

Cosa fare allora? Io la mia Stella Polare ce l’ho. Sono le parole che mi hanno accompagnata come un mantra per tutta la lettura: “Restiamo umani”, Vittorio Arrigoni.

CC BY-NC-ND 4.0 American Sniper [il libro] by Collateralmente is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.