Cartoni, vi ricordate di loro? Pollon è una simpatica ragazzina figlia del dio Apollo. Vive insieme a tutte le divinità mitologiche sul monte Olimpo e la sua massima aspirazione è quella di diventare una vera dea. È la trama di Pollon, cartone animato ideato nel 1982 e trasmesso in Italia solo un paio d’anni più tardi.
È una delle pagine ludico-infantili più inquietanti per chi, all’epoca dei fatti, aveva 8 anni (tipo il sottoscritto) e forse non riusciva a cogliere le “easter eggs” nascoste, nemmeno poi così tanto in profondità, all’interno dell’animazione nipponica. Una su tutte, per dare l’idea, il mantra usato da Pollon per risollevare il morale ai veri personaggi: “Sembra talco ma non è, serve a darti l’allegria”. Ogni ulteriore commento sembra superfluo.
Oggi i cartoni sono controllati e sezionati alla perfezione nei dialoghi e nelle animazioni. Cosparsi di felicità e buone intenzioni (senza polveri bianche sospette), sempre politically correct al di là di ogni possibile dubbio. È tutto assolutamente a prova di pericolo. Ma per chi è stato bambino negli anni in cui lo sono stato io, le cose erano ben diverse. Il terreno era viscido e insidioso. E noi non lo sapevamo.
Intanto siamo stati la prima vera generazione a crescere con i cartoni animati. Per i nostri genitori la diffusione in scala massiccia di un genere che capivano fino a un certo punto era tutto sommato una novità. Ne facevamo, tuttavia, un consumo abbastanza etico. Ricordo, per le nuove generazioni alla lettura, che soltanto alla fine degli anni ’70 sono state introdotte le tv generaliste e commerciali (Canale 5 prima, poi Italia 1 e infine Rete 4) e che assieme ai tre canali Rai costituivano ciò che per noi era TUTTA la televisione. Ho ancora un vago ricordo, ad esempio, di quando erano presenti i soli canali Rai e fino al pomeriggio le trasmissioni non iniziavano. Sul video il pallone colorato fisso e inquietante del fuori onda. Poi, verso credo le 16, lo scatolotto da arredo statico si animava. E sotto con “Furia cavallo del west”, rigorosamente in bianco e nero.
Bastasse questo però.
In quei primi ’80 c’era fermento. Fra i tanti disegni animati c’è Forza Sugar, una fra le tante “chicche educative” che ti mettevano precocemente di fronte alla dura realtà della vita. Il protagonista è un bambino orfano di madre che vive insieme a suo padre, che però muore dopo un combattimento di pugilato. Allora il piccolo Sugar, solo al mondo, inizia una vita di duri allenamenti per emulare le gesta del padre assieme ad un allenatore a cui si lega moltissimo che però è alcolizzato e morirà precocemente. Basterebbe da solo, oggi, per mettermi in fragranti difficoltà con mia figlia, nello spiegarle le varie situazioni in un’unica soluzione senza continuità.
Ma Sugar è uno dei tanti. E a noi nessuno spiegava nulla. C’era Candy Candy, per dire: orfanotrofio, amori non corrisposti, tragedie, adozioni, guerra. Nulla che oggi si possa anche solo parzialmente intravvedere su un canale Sky dedicato ai bambini. E gli esempi potrebbero continuare (quasi) all’infinito, almeno per altri quindici anni di programmazione tv per bambini: i triangoli amorosi e le pose ammiccanti di Lamù, che debutta in Italia nel 1983; Lupin, che con le sue tre serie da 265 episodi si prende continuamente beffa della polizia e delle forze dell’ordine e ruba ogni cosa sia rubabile; Georgie, innamorata a turno dei fratellastri, che verso di lei nutrono una morbosa attenzione, Lady Oscar, educata come un maschio pur essendo una ragazza e quindi spesso in crisi…E via discorrendo.
Insomma, i cartoons ’80 sono davvero lastricati di spine per un ottenne indifeso, con i genitori anni ’80 troppo presi dagli impegni di lavoro per curarsene troppo. La mia generazione, malgrado tutto, ci è passata indenne e vaccinata. Per molti aspetti ritengo ancora oggi, da genitore, che sia stata una fortuna guardare quei cartoons. La campana di vetro odierna che poniamo sui nostri figli, talvolta almeno, semplifica un ruolo. Comprendo che sia forse meglio affrontare i temi quali la morte, il tradimento, la malattia, il sesso in modo più graduale e diverso. Noi ce li siamo beccati tutti in un’unica soluzione e da giovanissimi, travestiti da disegno animato, non guardando il Trono di Spade. Erano semplicemente i cartoni animanti nelle “fasce protette” che la tv commerciale e generalista, allora sulla rampa di lancio, ci proponeva.
E più o meno, siamo ancora qui, consapevoli, a domandarci che senso abbiano i “Pigiamini” o “Sofia la Principessa”.
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