Orbene, ci siamo: l’Italia tutta come un sol uomo si aggancia a Sanremo. Forse come un sol uomo no: come due uomini [o due donne eccetera]. Uno lo guarda perché gli piace, l’altro non lo guarda ma guarda quello che lo guarda.

Per dire che negli anni ho odiato il Festivàl [accento sulla à]: ero un ragazzino intrippato col metal. Poi l’ho ignorato, sprezzante [ero un po’ meno ragazzino intrippato col rap americano]. Poi sono arrivati i social e il fastidio è tornato, ma non per il festivàl, bensì per quelli che ‘Fa schifo, non lo guardo ma lo dico’. Questi ultimi secondo me lo guardano eccome, però dicono di no.

Penso abbiamo tutti capito che ormai Sanremo è diventata una cosa tipo un enorme blob in cui tutto si fonde e come risultato abbiamo l’Italia: le canzoni sono un addobbo, una pallina di natale che va a riempire spazi altrimenti vuoti. No?

Quest’anno, complice l’età, ho deciso che come al solito non lo guarderò ma guarderò quelli che lo guardano, e stavolta col sorriso. Abbiamo bisogno di questa roba qui, soprattutto adesso. Un po’ di ricreazione tra Ucraina, Palestina, Trump, l’inflazione, i diritti negati, il cambiamento climatico, il lavoro che non va eccetera.

Un po’ di pausa, è solo una settimana: godetevela e sorridete, e vedervi sorridere e commentare il vestito, l’età di alcuni contendenti [ma come i Ricchi e Poveri? I Ricchi e poveri cosaaaaa…Scusate], la scenografia, la polemichetta parapolitica sarà comunque una ventata di aria fresca in mezzo a tutto questo tanfo che ci propinano questi tempi.

Buon Festivàl, quindi, perché sì.

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