E’ giusto mangiare la carne? O forse ha ragione chi per scelta ha optato per una delle multiformi forme di vegetarianesimo/veganesimo?
Immaginando di aprire una discussione pubblica, l’esito degenererebbe rapidamente in una lotta tra bene e male (senza specificare chi sia il bene e chi il male naturalmente, ad ognuno la propria fazione): una divisione più o meno equivalente di persone che immaginano di essere schierati dalla parte giusta.
Si torna quindi al punto di partenza.
Eliminando i radical-fessi e i modaioli da “tendenza”, pur non sapendo quale sia la scelta giusta, ho deciso di prendermi una responsabilità personale: seguire una strada tutta mia, lontana dal luogo comune e, perché no, figlia in certa misura anche della mia storia personale.
Mio nonno in tempo di guerra trascorreva la maggior parte del proprio tempo libero (che non era proprio il tempo libero che possiamo immaginare oggi) nel tentativo di approvvigionarsi di generi alimentari per sé e soprattutto per la propria famiglia. Nel farlo, e i suoi racconti si sprecavano e si fondevano in un limbo sospeso tra realtà e leggenda, attraversava posti di blocco dei tedeschi, attraversava boschi stracolmi di partigiani sospettosi, spostava uova, formaggi e farina, in bicicletta, per decine e decine di chilometri nel tentativo di nutrire al meglio delle possibilità mio padre piccino che aveva circa l’età che oggi ha mia figlia.
La carne, in quei rocamboleschi giri di roulette russa, era uno fra gli alimenti più preziosi.
Quando ormai l’ho conosciuto, il nonno era un omone anziano di 100 chili che amava sottolineare, a tavola, l’apprezzamento per il pollo rosicchiando le ossa e poi tritando quelle più piccole prima di deglutirle. Lo faceva mentre io vi lasciavo invece un paio d’etti di carne mordicchiata perché “in fondo la polpa era più buona”.
Mi guardava con severità, ed oggi credo anche con un po’ di commiserazione.
Recentemente un caro amico che ormai vive negli Usa da quasi tre lustri [la patria del consumo scellerato per estrazione culturale], ma che ha mantenuto saldi alcuni princìpi nostrani, mi ha raccontato il suo approccio californiano. E’ stato lui far maturare questa riflessione dicendomi che sì, la carne gli piace, ma che la mangia con rispetto per ciò che rappresenta.
Illuminazione.
Stai a vedere che una delle chiavi interpretative possa essere proprio questa? L’uomo è una macchina onnivora, è un dato di fatto. Se avessero voluto far sì che la nostra benzina non fosse costituita da lunghi amminoacidi di origine animale probabilmente li avrebbero resi tossici. Tuttavia questa benzina non è indispensabile, se ne può fare a meno per spingere il motore. E da qui la scelta possibile: il mio caro amico mangia carne avendo sempre presente che ogni “porzione” deriva dal sacrificio di un essere vivente. La mangia con rispetto, poca, non sprecandola o avanzandola mai. E non è scontato che avvenga, credetemi.
Ho ripensato a mio nonno, uomo di un’epoca distante dalle mode, quando il problema del giusto o dello sbagliato, della lotta fra il bene e il male [da un punto di vista alimentare, perlomeno] non si poneva. E ho immaginato che in quel rosicchiare le ossa non ci fosse soltanto il rispetto per un alimento che si mangiava raramente, ma anche il rispetto per ciò che quell’alimento rappresentava.
Sono dunque diventato vegetariano? Non ancora.
Però vi lascio questa chicca:
prendete un pacco di ceci e uno di lenticchie, scolateli e soffriggeteli leggermente in poco olio. In un’altra pentola saltate un po’ di cipolla rossa a striscioline, qualche pezzo di peperone a listelle e verso la fine della cottura (10 minuti), in modo da appassire un po’ la verdura ma conservandone la croccantezza, unite dei pezzetti di pomodoro preventivamente sgocciolato dall’acqua in eccesso. Unite a caldo a lenticchie e ceci ed aggiungete qualche pezzetto di Feta prima di servire.
E la carne? Magari la prossima volta.
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