Cambiano i tempi e quindi gli usi e i consigli di buona condotta. Ai diversamente giovani come noi, nonni e genitori insegnavano che i panni sporchi si lavano in Arno: all’epoca, per insegnare qualcosa ai fanciulli, si usava ancora citare grandi scrittori. In parole povere: le questioni private, in privato si conducono.
Ma è solo per “buona creanza”? Oppure ci sono motivi validi per non allargare all’agorà chiassosa questioni delicate che l’apporto dei ragli della piazza potrebbero compromettere? Quelo direbbe “la seconda che hai detto”. Se vado a sciacquare i panni in Social, autorizzo la piazza a dire la sua con le evidenti (almeno per me) complicazioni che possono sorgere.
Trovo insopportabile l’essere mio malgrado coinvolto in questioni personali per il solo fatto di aver aperto un social. Penso sia una velata forma di violenza pubblicare sulla propria bacheca questioni personali o attacchi a terzi. E non vale il discorso che la bacheca è mia e ci faccio quel che voglio. È una fallacia: anche le finestre di casa mia sono mie ma se appendo un cartello con insulti ad un’alta carica dello Stato o a una nota azienda di trasporti (la tentazione in questo caso è quotidiana) posso passare dei guai. Allo stesso modo, l’oggetto dei miei strali può denunciarmi nei casi più gravi, per le accuse pubblicate sulla mia bacheca. Eppure.
Siamo convinti che i social siano le discariche della nostra immondizia psichica, per parafrasare il Dalai Lama, e scriviamo su FB o su altre piattaforme per lamentarci o accusare di qualcosa anziché assumerci la responsabilità di parlare con il diretto interessato e chiarire la vicenda. Coinvolgendo un pubblico che non aspetta altro per dire la sua e fomentare odio e dissapori.
Esiste un’altra categoria di post che, se possibile, è ancora più odiosa: quella delle invettive allusive. Scrivo uno sfogo contro ignoto, perché tanto chi deve capire capisce. Ma abbi almeno il coraggio di nominarlo. Già non saprei descrivere quanto poco mi importa della questione, in aggiunta devo anche chiedermi chi sia l’ignoto nel caso in cui conosca l’autore del post.
È o no una violenza? Se si dice qualcosa a qualcuno, nella mente del ricevente si crea un’immagine mentale. Piccolo esperimento: avete presente un elefante a pois rosa che nuota in una laguna di Nutella? Ecco, ditemi che non avete immaginato la scena, interpretandola a vostro modo. È impossibile, mentre si legge si forma l’immagine.
Se una persona che conosco scrive un post allusivo, è inevitabile che inizi a chiedermi di chi sta parlando. Faccio supposizioni sulla base dell’invettiva: sarà lui? Ho sempre pensato che fosse un deficiente… Oppure sarà lei, pettegola e superficiale come poche. No no, è il suo superiore che lo maltratta sul lavoro…
Io ci casco, conosco persone che resisterebbero: nel modo migliore, si tengono lontanissimi da tutti i rutti social.
Tanto scrivo perché mi è successo, ma per non ricadere nell’errore non posso fare alcuna allusione.
Ma una preghiera, per il bene di tutti: smettiamo di lavare i panni in Social…

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