Spagna, inizio 1976: il dittatore Francisco Franco è morto da tre mesi dopo un regime ultra trentennale. Manuel (M. Herran) finisce in carcere con l’accusa di appropriazione indebita e il rischio di restare dentro anni. Egli invece pensa di poter chiedere di essere trattato civilmente, di far valere i suoi diritti, in virtù del neoritorno della democrazia. Presto capirà che i metodi del governo franchista sono ancora validi, soprattutto ad opera delle guardie penitenziarie e scoprirà che la prigione è luogo di arbitrio, favori, meschinità, tradimenti, che i ruoli tra carceriere e carcerato possono scambiarsi, oltre che tra vittima e carnefice. Durante la detenzione conosce Pino (J. Gutierrez), solitario e rispettato detenuto, con le sue abitudini sacre e i suoi libri di fantascienza. Nell’arco di oltre due anni i due uomini, si troveranno in mezzo alle proteste e le rivolte di coloro che chiedono l’amnistia, anche per i detenuti non politici, in una ondivaga trattativa che alterna mediazioni o tentativi di accordo, con repressioni brutali e sanguinose e prove di evasione. Alla fine del film, delle didascalie danno alcuni numeri sulle carceri tra il 1976 e il 1978 nella Spagna appena tornata democratica.
Alberto Rodriguez (“La isla minima”) dirige e scrive, insieme al fidato Rafael Cobos, un dramma carcerario dal forte impatto visivo, con una buona tensione narrativa. Si ispira a fatti reali, romanzando la storia di Manuel e Pino, che sono ben serviti dai due protagonisti: Miguel Herran lo conoscerete per “La casa di carta” e “Elite”, Javier Gutierrez è ormai un volto noto del cinema iberico.
5 premi Goya, gli Oscar spagnoli, tutti per categorie tecniche, su 16 candidature.
Non è un film piacevole e rievoca una pagina vergognosa della storia, ma si sa, le transizioni tra dittatura e democrazia sono lente e dolorose. Noi per fortuna siamo un Paese civile da 75 anni e queste cose non succedono più da decenni. O no?
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