In questa discontinua, sconnessa, afosa e non calcolata estate ho avuto modo di pensare parecchio, fino a chiedermi a cosa serva questo blog. Prima di chiuderlo mi sono interrogato sull’essenza del verbo ‘servire’, e so o giunto alla conclusione che non tutto deve per forza farlo per esistere. Serve a me, so che c’è, è lì e mi aspetta per essere riempito.

Vado avanti, quindi.

Quando non ho pensato/camminato/fotografato/letto, ho guardato Netflix e sono rimasto molto colpito da una serie intitolata ‘Penny Dreadful‘; è una serie horror [sì? Non ne sono così certo] in cui si intrecciano le vicende di Victor Frankenstein, Dorian Gray, Dr. Jekyll, il conte Dracula, licantropi, streghe e vampiri, i quali sono alle prese con la loro alienazione mostruosa nella Londra vittoriana.

Per stomaci forti, sognatori all’indietro [li chiamo così i nostalgici] e cuori romantici; sono tre serie e non ce ne sarà una quarta, il che è molto buono perché c’è un inizio e una fine. E a proposito di fine, ho riguardato tre volte quella che chiude la serie perché raramente ho visto qualcosa di più poetico alla tv.

Viene recitata questa poesia di William Wordsworth:

 

C’era un tempo in cui prato, bosco, e ruscello,
la terra, e ogni essere comune
a me sembravano
ornati da una luce celestiale,
la gloria e la freschezza di un sogno.
non è più com’era prima;—
mi giro ovunque posso,
di giorno o di notte,
le cose che ho visto ora non posso più vederle.
(…)
–ma c’è un albero, di molti, uno,
un singolo campo che osserva dall’alto,
entrambi parlano di qualcosa che è passato:
la viola del pensiero ai miei piedi
ripete lo stesso racconto:
dov’è scappato il barlume visionario?
dove sono ora, la gloria e il sogno?
Ma c’è un albero, di molti, uno.
La trovo bellissima.

CC BY-NC-ND 4.0 Penny Dreadful, una poesia e un’estate disconnessa by Collateralmente is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.