Non sappiamo se qualcuno tra di voi amici legge ‘Ok Boomer‘, la newsletter che Michele Serra scrive per Il Post.
Non siamo nemmeno soliti riprodurre qui testi di altri, ma ogni tanto, quando merita, lo facciamo: in questo caso stra merita.
Buona lettura.
Un mio conoscente, un po’ di giorni fa, mi ha mandato un whatsapp (destinato, immagino, a tutti i suoi contatti) nel quale mi invitava a firmare tre petizioni popolari. La prima in difesa dell’uso illimitato dei contanti. La seconda contro “l’imposizione dell’insegnamento gender nelle scuole”. La terza per l’autoproduzione del cibo.
Conosco molto superficialmente quel signore. Però nella triplice petizione mi è parso di riconoscere (con ottime probabilità di averci preso) quel piccolo, ma non tanto piccolo, mondo complottista, quasi sempre vicino all’estrema destra ma con varie autocertificazioni antisistema e “rivoluzionarie”, secondo il quale la tracciabilità del denaro è un metodo di controllo dei “poteri forti”; la depravazione sessuale e la pedofilia sono tra i connotati perversi delle élites democratiche mondiali (vedi la predicazione di QAnon contro Hillary Clinton; in buona armonia con gli anatemi del patriarca Cirillo contro la deriva omosessuale imposta dall’Europa); il cibo va autoprodotto per evitare di essere avvelenati e controllati dalle multinazionali.
Questo terzo punto, confesso, esercita un certo fascino sul sottoscritto, anche se cerco di verificarlo, quando posso, su basi economiche, scientifiche e razionali. Per la serie: ho un magnifico orto, sono agricoltore biologico, ma frequento felicemente il mercato e perfino il supermercato. Le prime due questioni, per me, sono invece tipiche forme paranoiche che hanno messo radice in rete e in rete prosperano. Per non rimanere nel vago, la definizione clinica di paranoia è questa: delirio cronico basato su un sistema di convinzioni, principalmente a tema persecutorio, non corrispondenti alla realtà.
Ho risposto istintivamente a quel signore utilizzando il più sbagliato dei toni: il sarcasmo. Gli ho chiesto se, oltre all’abolizione delle carte di credito, non fosse il caso di abolire anche il fisco, le banche e di conseguenza lo Stato, e tornare felicemente alle caverne. Si è infuriato. Mi ha risposto che “io e i miei amici” (imprecisati) siamo dei servi del sistema, che non vogliamo prendere atto della realtà delle cose, e dunque bloccava il mio numero (quest’ultima circostanza mi ha molto rasserenato).
Se vi racconto questo trascurabile episodio è perché, in seguito ad esso, mi sono posto una vecchia domanda alla quale non sono mai stato capace di dare risposta. La domanda è: come ci si rapporta con questo genere di persone? Si dichiara in partenza l’impossibilità dell’impresa, e dunque si rinuncia? Si stabilisce che il confronto “tradizionale”, quello nel quale si discute e magari anche si litiga, però su comuni, condivise basi razionali, ormai non è più praticabile con una parte speriamo minoritaria, ma comunque non piccola, della comunità nella quale viviamo? Li si prende di petto? Si cerca di fare breccia con buoni argomenti, e ragionevolezza, fingendo perfino di credere che ci sia, nelle scuole italiane, un problema di propaganda della pedofilia, pur di aprire un tavolo di confronto? E se poi questo tavolo è quadrato e lui/lei ti dice: “non è vero che è quadrato, non lo vedi che è rotondo?”, e dunque prendi atto che, per lui, la realtà non esiste più, te ne vai alzando le spalle oppure ti preoccupi delle sue condizioni, e ti chiedi se esistono terapie efficaci?
Se uno è convinto che l’ultimo dei post su Telegram, o il più sgangherato dei siti “antisistema”, purché contengano la frase “non ce lo vogliono far sapere” sia più autorevole del New York Times e della BBC, e che le sole verità tangibili siano nel primo novero, e il secondo (i famosi “media mainstream”) contenga solo balle sovvenzionate dal potere, quali possibilità ci sono di aprire un varco nelle sue animose certezze?
A questo punto devo raccontarvi, ahimé, un episodio precedente. Molti anni fa un amico, affranto, mi raccontò che la sua giovane compagna era entrata in una setta esoterica e l’aveva lasciato. Disperato, mi chiese aiuto. Non sapendo che pesci pigliare disturbai Piero Angela, che consideravo, credo con ragione, un illustre e solido razionalista, chiedendogli che cosa potevo fare per aiutare quel mio amico. Angela mi indirizzò a una grande antropologa, Cecilia Gatto Trocchi (1939-2005), dicendomi che era, in Italia, la studiosa più esperta e attendibile del fenomeno delle sette. Gatto Trocchi fu gentilissima e, ahimé, molto esplicita. Mi disse, in sostanza: «Dì al tuo amico che non solo non può fare nulla, ma che non deve fare nulla. Perché è dimostrato che, nella mentalità settaria, ogni intromissione, non importa in quali forme esercitata, ogni tentativo del mondo “esterno” di richiamarti alla realtà, vengono vissuti come una conferma della malvagità del mondo, e avvicinano ancora di più l’affiliato alla setta. L’unica cosa da fare è aspettare che la persona incastrata in quell’ingranaggio micidiale ne esca da sé sola; diciamo così, ‘guarisca’ grazie ai propri anticorpi».
Il settarismo (anche quello politico) è sempre esistito. Ma era un genere di radicalità ideologica, o di fanatismo, che agiva dentro e contro la realtà, allo scopo di sovvertirla, non senza la realtà, allo scopo di negarla. Un terrapiattista, voi capite, non sta aprendo un dibattito, sta chiudendo un circuito razionale e sta distruggendo un dato certo. Perché la terra è rotonda (leggermente schiacciata sui poli) e lui, sicuramente, lo sa benissimo (non può non saperlo). Ma ha deciso di costruirsi un ambiente mentale, e culturale, nel quale è felice di poter fare a meno della realtà materiale – la terra è piatta perché l’ho deciso io, e tanto mi basta. Grandemente assecondato dalla inedita facilità con la quale ogni singolo miraggio individuale, ogni diceria insensata però suggestiva, ogni falsificazione gradita, grazie alla pervasività e alla velocità di internet, ha facoltà di trovare immediata conferma e sedimentare in comunità di migliaia, centinaia di migliaia, milioni di persone.
A meno di decidere che quella fetta di umanità, che navigando si è perduta, vada abbandonata alla sua deriva (ma è molto poco inclusivo, a ben vedere: di tutte le minoranze che chiedono rispetto, questa soltanto va considerata indegna di attenzione?), la domanda “come interagire con i nuovi fanatici” è una domanda importante. E la risposta che mi diede molti anni fa la professoressa Gatto Trocchi, anche se lucida e implacabile, ancora oggi mi intristisce. Davvero non si può e peggio non si deve fare niente, perché ogni parola (vedi il mio whatsapp di risposta) non può che peggiorare la (loro) situazione? E fino a che punto è “loro”, la situazione, visto che dividiamo lo stesso posto e lo stesso tempo?
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