Leggo l’articolo della Stampa che parla dell’ultimo tragico avvenimento relativo ad una giovane mamma che ha posto fine alla vita del proprio figlio.
Si legge che in molti casi queste persone spiegano il gesto con la frase «ho dovuto farlo per salvarlo dalla vita». In questi casi si suppone che alla base vi sia un vero e proprio “gesto d’amore”, anche se vissuto e agito in chiave francamente psicotica.
Si può immaginare dunque che l’affermazione sia “vera”, che cioè sia stata proprio quella la motivazione: vedo l’orrore di questa vita, amo mio figlio e lo voglio difendere, lo sottraggo a questo orrore. Psicotico, ma con una logica.
Nel discorso comune, questa “spiegazione” non solo non viene compresa ma chi la pronuncia viene condannato una volta di più. La sensibilità verso la psicopatologia (specchio di un male di vivere che in ogni caso ci accomuna tutti, con gradi differenti) è ancora molto lontana dall’essere oggetto di interesse della comunità.
Nei momenti peggiori, chi non si è interrogato sull’opportunità di aver messo al mondo (così brutto) un figlio? Chi porta alle estreme conseguenze questo interrogativo non è un mostro, è una persona profondamente sofferente, figlia di una società sempre più disumanizzante, che prima lascia sola chi soffre e poi la condanna senza comprensione.
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