Giorgio Selva (C. Bisio), conduttore televisivo di un talk show di successo, convive con il figlio diciassettenne Tito (Gaddo Bacchini): il tutto ovviamente all’insegna del conflitto e dell’incomunicabilità. Quelle che per il padre sono regole, organizzazioni, limiti, ordine, per il figlio assumono il gusto della restrizione, dell’oppressione, dell’invadenza, della rottura di scatole. Giorgio è separato dalla moglie da 7 anni, si frequenta ancora con il suocero (C. Ponzoni), Tito ha una compagnia tutta maschile e disordinata di amici, che spesso invade casa dei due, e frequenta una ragazza silenziosa. Nella Milano odierna, tra cellulari che squillano di continuo senza risposta e sbronze tra feste e pub, padre e figlio si incontrano, si scontrano, fanno fatica a trovare la quadra.
Francesca Archibugi, in coppia con Francesco Piccolo alla sceneggiatura (di nuovo dopo “Il nome del figlio”), firma un film ispirato liberamente all’omonimo romanzo di Michele Serra. In questo caso la sfida era quella di aggiungere, e non togliere, da una materia narrativa molto stringata. Spiace dirlo, soprattutto per chi ha amato tantissimo il libro, ma la scommessa non è riuscita. L’amalgama non si trova, i passaggi più riusciti, forse, sono quelli conflittuali tra padre e figlio, altri decisamente più sfocati, come del resto certi personaggi creati ex novo. Non si approfondiscono alcuni temi che nel romanzo sono folgoranti, come il tormentone del “Colle della Nasca” e l’idea del futuro medievale apocalittico, con la guerra tra giovani e vecchi, ma lo stesso concetto di sdraiati, che dà il titolo al film e al libro.
Bisio è bravo, ma un po’ troppo rigido, Bacchini rende bene il vitalismo incazzato dei diciassette anni, Cochi Ponzoni è impagabile. Resta un film irrisolto, che non trova quella leggerezza sottile e acuta che hanno le pagine di Serra.
Peccato.
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