Giorno 1
Festoni nelle vie, attaccati ai lampioni e alle ringhiere delle terrazze, le etichette del Latte Tigullio che riportano il logo del Festival, i programmi degli incontri esposti sui banconi dei negozi, il castello della Dragonara che ospita la mostra di Milo Manara… questo è il Festival della Comunicazione di Camogli, una cittadina intera che accoglie e abbraccia questa ricorrenza giunta all’ottava edizione e dedicata al tema della Conoscenza.
Siete pronti? Allora seguitemi!
Per me la prima giornata inizia alle 22 con l’incontro di Piergiorgio Odifreddi. Anche se i matematici sono brutta gente, lui lo seguo abbastanza spesso nelle sue conferenze. In questa presentava il suo ultimo libro Ritratti dell’Infinito (Rizzoli, 2020) in cui non parla propriamente di conoscenza (tema del Festival), ma delle diverse accezioni del concetto di infinito.

Sono dodici le declinazioni che affronta, che toccano tutti i campi della conoscenza e del pensiero.
Immenso, inesauribile, illimitato, indefinito, interminabile, incommensurabile, irraggiungibile, incomprensibile, transfinito, trascendente, trascendentale, ineffabile.
All’infinito associamo l’immagine di qualcosa di enorme, immenso. L’universo o i granelli di sabbia di tutta la Terra sembrano incalcolabili eppure già nell’antichità erano state fatte delle stime plausibili.
Inesauribile è un labirinto di cui non troviamo l’uscita, o un’opera incompiuta (la Sinfonia n. 8 di Schubert, la 10 di Mahler, o, in letteratura, I fratelli Karamazov di Dostoevskij). Non hanno fine, quindi possono continuare all’infinito nella nostra immaginazione senza esaurirsi.
Illimitato: si pensi a una sfera percorribile a piedi o in macchina. Questa è un paradosso, perché pur essendo un oggetto infinito, se non presenta ostacoli è percorribile in modo illimitato.
L’indefinito invece tocca la letteratura: Leopardi parlando della sua lirica “L’infinito” dice di aver usato i termini più indefiniti e vaghi possibili per non dare limiti all’immaginazione.
E così via anche per gli altri termini, che non sto a spiegarvi perché altrimenti non comprereste il libro.
[Non è vero, non proseguo l’elenco perché poi iniziano quelli legati alla matematica, che non saprei rispiegare, vedi immagine: disegni di irrazionali, un quadrato che al suo interno contiene un quadrato di dimensione dimezzata, o un pentagono che contiene una stella a cinque punte che forma un altro pentagono e così via…]

Tra una battuta, una spiegazione e mille aneddoti di cui Odifreddi è sempre ricco, il primo incontro si conclude tra i dovuti applausi.
A domani mattina!
Giorno 2
“La scienza è sapere quello che si sa e non sapere quello che non si sa” Piero Angela.

Che può risultare scontato, ma è uno degli assiomi della conoscenza. Non si inventa, non si fantastica: il sapere è circoscritto solamente a quello che il genere umano ha capito e studiato, tutto il resto non si sa (ancora).
Dimenticavo, le presentazioni. Lui naturalmente è Piero Angela, che per il secondo anno di fila si fa vedere solo in video dopo aver partecipato sempre in presenza al Festival (io e Pier ricordiamo molto bene l’ora e mezza di coda davanti al Teatro Sociale di Camogli…). Però ha promesso che l’anno prossimo ci sarà di nuovo di persona 🙂
Continuiamo adesso.
Nell’antichità bastava l’ipse dixit dei filosofi. Ora diremmo che abbiamo fatto dei passi avanti in quanto a verificabilità delle affermazioni… ma ne siamo così sicuri? Altro che uscirne migliori, il Covid ha tirato fuori di tutto e di più, soprattutto opinioni e non fatti, credenze e non verità. Che poi vere e proprie ‘verità’ nella scienza non ce ne sono, tutto è messo continuamente in discussione e alla prova delle nuove scoperte. “Nella scienza la reputazione è importante, ma contano i risultati: una nuova ricerca deve essere comprovata, non basta che precedenti ricerche dello stesso scienziato siano state validate”
Concludo con un ultimo monito, perché sostituirsi alle parole di Piero Angela sarebbe una sfida: “Ci sono persone di buon senso che vogliono capire, e altre persone che non vogliono capire ma vogliono credere. Ci stiamo volgendo verso società complicate con gli occhi bendati”.

Nel pomeriggio sono andata all’incontro con Mario Tozzi e Guido Barbujani, il primo noto geologo e divulgatore (da piccola lo prendevo sempre in giro perché nei servizi e documentari non abbandonava mai la sua piccozza), il secondo genetista e professore, una di quelle conoscenze fatte a Camogli che non ho più abbandonato. Insieme hanno presentato “La nostra grande storia“, podcast di 10 puntate in esclusiva su Audible e prodotto da Frame-Festival della Comunicazione.
La sto tirando per le lunghe con le presentazioni perché il loro intervento non è riassumibile: è un continuo scambio di battute tra il serio e il faceto senza mai scadere nel banale. Se Tozzi è attento agli aspetti più terreni (letteralmente), ambientali e climatici dei cambiamenti della Terra, Barbujani cita scienziati, studi, evoluzioni dell’uomo per spiegare cosa è successo negli ultimi 2 milioni di anni.
Impresa ardua, ve ne renderete conto, ma sono sicura che con la loro chiarezza e capacità divulgativa, il podcast sarà una piacevolissima e interessante scoperta!
Giorno 3
Buongiorno da Camogli! Stamattina colazione con un altro torinese…

Guido Catalano, alla sua quarta partecipazione al Festival, per presentare (e naturalmente leggere) “Fiabe per adulti consenzienti“, 98 spassose fiabe (“Cominciano con ‘C’era una volta’ e finiscono con ‘fine’, quindi sono sicuro che siano fiabe”) non sempre dal lieto fine. I generi ci sono tutti: fiabe d’amore, horror, con animali o oggetti parlanti, addirittura una fantascientifica. Ci sono principi azzurri che fanno brutte fini, ma anche principesse moderne che cadono in un baratro per attirare l’attenzione dell’amato.
Questa raccolta nasce anche grazie ai ‘ricordi’ di Facebook, che riportano alla memoria di Catalano vecchi scritti di anni prima, ormai dimenticati. Fortunatamente Rizzoli ha accolto il progetto e così nella solitudine del lockdown è nato questo libro pubblicandolo a febbraio 2021. Per il resto… come si può raccontare un reading? Non si può, quindi buona lettura!
Bonus track, perché Catalano è troppo divertente da ascoltare: potete farlo con “Amaremale“!
Nel pomeriggio, ancora spazio ai Podcast: si comincia con Massimo Picozzi, psichiatra e criminologo, intervistato da Federica De Cesco per parlare di delitti, serial killer, profiling e criminologia. Il progetto del podcast “Nero come il sangue” (voci narranti: Carlo Lucarelli e Massimo Picozzi) raccoglie la descrizione di 20 omicidi esemplari dal 1828 al 2000 e deriva dal fatto che non esiste una vera e propria storia dell’evoluzione degli omicidi.
Una riflessione mi è piaciuta particolarmente: Picozzi raccoglie il sentimento comune che, dopo un delitto particolarmente efferato, ci fa dire “Chi l’ha compiuto non è umano, è un pazzo!” e subito dopo “Speriamo che non arrivi il solito psichiatra che lo dichiara pazzo e non condannabile!”. Come a dire, attenti a quello che speriamo, e lasciamo parlare gli esperti prima.
Si continua in leggerezza con Lorenzo Baglioni, professore e cantante, divenuto famoso per i suoi testi ironici sulle materie scolastiche. Presenta qui il suo podcast “Rivoluzione culturale” e naturalmente come prima rivoluzione cita la scuola e il suo potere creativo.
L’intervento passa così da una canzone all’altra, da quelle più conosciute alle novità (per me quasi tutte visto che non lo seguo sui social e mi aggiorno di anno in anno qui al Festival). I suoi brani non mancano di toccare temi importanti: la discriminazione (“Una Coca-Cola con la cannuccia corta“), la dislessia (“L’arome secco sé“), la disabilità (nella terza foto qui in alto: “Canto anch’io“, con Iacopo Melio).
Pubblico qui quella che mi ha fatto ridere di più, buon ascolto!
Giorno 4
Cappuccino, focaccia e batteri: questi gli ingredienti della colazione del quarto e ultimo giorno di Festival della Comunicazione.
Non sembra così invitante? E se vi dico che batteri e virus hanno la voce di Mario Tozzi, e attraverso un monologo raccontano la loro storia di convivenza con i Sapiens?
Tozzi fa il divulgatore, e lo fa bene. In poco tempo si scopre l’intelligenza di tutti questi microscopici batteri e virus che creano tanti danni da sempre, ma in fondo fanno solo quello per cui sono programmati: espandersi e replicarsi.
Si vede così l’evoluzione delle modalità di espansione, che segue l’evoluzione della socialità e delle abitudini umane. La caratteristica vincente di tanta resistenza nei secoli è che “in natura non vince il più forte in senso stretto, ma il più pronto a collaborare e adattarsi”.
Recuperata la sua propria voce, il messaggio che Tozzi vuole lanciare è che quest’ultima pandemia ci dovrebbe servire per guardare il mondo naturale in un altro modo, non più solo con l’obiettivo di prevaricarlo e conquistarlo, ma con l’attenzione di preservarlo tenendo le giuste distanze tra sapiens e natura.
Il libro in qui tutto questo è spiegato meglio e più approfonditamente (ma senza cappuccino e focaccia inclusi) è “Uno scomodo equilibrio” (Mondadori, 2021), quindi anche in questo caso, buona lettura!

Ora, lasciate fuori da questo articolo le ultime polemiche su Green pass e foibe.
Prendete Alessandro Barbero e Vinicio Capossela e metteteli a parlare di Dante, saltellando da un’opera all’altra per approdare alla Divina Commedia (o più propriamente, Comedìa). Ne uscirà una ricca chiacchierata, tra parafrasi dei versi e canzoni al pianoforte.
E qui devo passare alle dichiarazioni impopolari.
1) Non avevo mai ascoltato Capossela, ma proprio zero, non sapevo neanche il suo genere musicale. Ho ascoltato le tre canzoni eseguite e non mi sono piaciute.
2) Barbero mi piace così così. Grande storico, di certo, ci sono affezionata perché per me Superquark è una religione, ma il suo tono di voce mi irrita e distrae dai contenuti, è più forte di me.
3) L’incontro è stato sicuramente prezioso ma un po’ moscio, non mi ha coinvolta. Non so neanche se fosse sullo stile delle letture di Benigni perché (altra dichiarazione impopolare) non ho mai sentito un suo intervento su Dante.
Se dopo queste ultime righe qualcuno vorrà ancora leggermi, allora vi racconto il mio ultimo appuntamento con il Festival.
LUI.

Tradizionalmente il Festival volge al termine con uno spettacolo/intervento di Federico Rampini che io seguo in apnea e fissandolo perché altrimenti perdo il filo. Sì perché l’unica sua ‘pecca’ è dare una quantità di suggestioni e informazioni così densa da dover prestare il massimo dell’attenzione (se non si conosce la materia, naturalmente).
Quest’anno a Camogli presenta in anteprima nazionale “Fermare Pechino” (Mondadori, 2021, esce martedì ma qui a Camogli si può già acquistare tre giorni prima). Si parla di USA e Cina, e della rincorsa al primato mondiale per potenza economica, politica e sociale. Dalla crisi del 2008 per la Cina c’è stata un’epifania: vedere per la prima volta le fragilità americane. Da quel momento i ruoli hanno cominciato ad invertirsi, con la Cina in continua crescita e l’America in rincorsa nelle scelte politico-economiche adottate.
Due informazioni mi hanno colpita. La prima è che in Cina i migranti interni dalle campagne alle città sono moltissimi, ma queste persone sono obbligate a mantenere la cittadinanza nel villaggio d’origine, così da non poter usufruire di tutti i diritti della città in cui vivono e lavorano. Questo vuol dire creare cittadini di serie b, con meno diritti e tutele.
La seconda informazione è su Alipay, il sistema di pagamento online derivato da Alibaba (l’Amazon cinese, in sintesi). Bene, questa piattaforma è talmente capillare che è diventata una sorta di banca, con possibilità di microcredito e di deposito di piccole somme. Visto il successo, quando Alipay ha valutato di quotarsi in borsa, ha stimato prima il traffico che aveva: questo ammontava a una cifra superiore al PIL cinese. Totalmente fuori dai radar e dai controlli a cui una banca deve sottoporsi.
Ecco, questo è solo un assaggio, non mi dilungo perché sarebbe impossibile confrontarsi con il livello di Rampini, ma credo si sia capito che questo è stato l’incontro che mi è piaciuto di più del Festival 2021.
Post Scriptum
Ogni anno il Festival assegna un premio a uno dei suoi ospiti. Quest’anno è stato assegnato a Vinicio Capossela:
“perché con la sua simpatia, la sua appassionata espressività, le sue incursioni in tutte le articolazioni artistiche e musicali, è capace di interpretare e trasmettere il carattere serio e irriverente della realtà, nelle sue infinite sfumature, con raro talento ed ironia e con la sua personalità prorompente diretta ed empatica”
Il ringraziamento finale, per l’impeccabile organizzazione, tempistica, controllo e logistica, va allo staff e ai volontari, qui ritratti sul palco con uno stuolo di fotografi davanti 🙂

And now… everything ends
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