Sei in un letto d’ospedale, non so cosa senti, se senti. Non so altro che quello che è successo, cioè l’incidente che ti ha portato lì. Al buio, ferita.
Ci ho messo un po’ a metabolizzare, come sempre, forse un po’ più del solito vista la gravità della cosa. Ho pensato molto a te in questi giorni, ma non riesco a strapparmi fuori le parole giuste; non riesco a farlo nel solito modo, non vengono fuori come dovrebbero perché ho paura per te, ho un peso sul cuore, ho freddo a pensare a quello che ti è successo: sono un papà, ho una figlia un poco più giovane di te, il pensiero diventa confuso, tremolante.
Ho freddo a pensare al tuo, di freddo.
In questo momento è tutto così delicato e difficile. Ma non sei sola: hai tutte le persone che ti vogliono bene accanto. Sono tante, ho visto in questi giorni delle dimostrazioni vive, luminose, di quante persone ti vogliano bene e stiano facendo di tutto per portarti da questa parte, ancora.
Stai ancora con noi, Faba: sapremo, ognuno a suo modo, renderti quello che è successo meno doloroso, un giorno dopo l’altro.
Aggrappati a noi, tieni duro, tieni tutto stretto e sali. Un pezzo alla volta, un’ora dopo l’altra.
È tutto quello che riesco a dire, è la mia parte: per dirti che non sei sola. Non sarai sola.
Non vedo l’ora di rivederti.
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