Venerdì sera a Torino c’è stata una manifestazione di solidarietà nei confronti dei migranti; la novità semantica, se così la vogliamo chiamare, è stata nell’invito a togliersi le scarpe e le calze e marciare per le vie del centro a piedi nudi.

Io l’ho trovato bello perchè credo nella forza dei segni, dei simboli, delle idee semplici che possono scaldare cuori e mobilitare persone. Non tutti, lecitamente, la pensano allo stesso modo.

C’è naturalmente modo e modo di esprimere un dissenso: si può cassare la cosa come inutile [I problemi dei migranti non li risolvi con una marcia], si può essere decisamente contrari [aiutiamoli a casa loro, ci rubano il lavoro, portano malattie e disordine sociale], si può infine essere del tutto disinteressati alla questione [che due palle questi che mi bloccano Via Po nell’ora di punta: andassero a lavorare]

Va bene tutto: tante teste, tante idee. Quello che voglio dire in realtà è più orientato a mia figlia che non a chi ha [o non ha] partecipato alla marcia.

Sei venuta con me, eri contenta, orgogliosa della risposta della tua città, sei stata attenta alle parole ed ai gesti di una comunità che si è incontrata per dare un segnale. Quindi non gli credere, Carlotta: non credere mai che non serva, che sia inutile, che i simboli siano per gli scemi che ci credono, che camminare per la tua città crei un disagio maggiore del beneficio, che sia da radical chic, che i problemi siano da un’altra parte.

Loro in Via Po non c’erano, e tu sì.

Lasciali scrivere e fare quel blabla acido, lasciali pontificare dal quel posto caldo e un po’ umidiccio che è il loro cinismo, togliti le scarpe e cammina. Io, noi, siamo con te.

 

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