In un futuro imprecisato, ma non troppo lontano, negli Stati Uniti è in corso una guerra civile. Alcuni Stati sono insorti contro il governo centrale e il presidente, muovendo guerra con truppe autonome. In questo scenario si muovono quattro reporter di guerra: la fotografa veterana Lee (K. Dunst), il cronista Joel (W. Moura), il vecchio Sammy (S. M. Henderson) e la giovanissima Jessie (C. Spaeny); quest’ultima nutre una grande ammirazione per Lee e vorrebbe seguire le sue orme, magari emulandone il successo. L’obiettivo del quartetto sarebbe arrivare a Washington, capitale sotto assedio dove il presidente è asserragliato. Lungo la strada ci saranno diverse tappe, dettate da scontri a fuoco e altre violenze, in cui i quattro saranno coinvolti loro malgrado, ma comunque con il desiderio di documentare la guerra civile in atto.

Alex Garland scrive e dirige un film che potrebbe somigliare a un documentario per il taglio scelto, ma che in realtà è un apologo nerissimo e nemmeno troppo distopico. Racconta la guerra dal punto di vista di chi la fotografa e la narra, in maniera neutrale e senza partito preso, quasi che la cosa non fosse importante. Nella figura di Jessie in particolare, disegna quel misto di contraddizioni che possono tranquillamente sembrare quelle di persone squilibrate mentalmente: la passione e il cinismo, l’imprudenza e la determinazione, la paura e il diritto di cronaca, la disperazione e la solidarietà.

Scelta musicale azzeccata, ma soprattutto dimensione acustica molto accurata, con passaggi di totale assenza dell’audio e altri in cui l’azione è coperta completamente dal sonoro ingombrante. Sicuramente disturbante, per tante ragioni, lascia questioni aperte che riflettono il tempo in cui viviamo e non dà giudizi. Siamo sicuri che sia davvero una storia iperbolica?

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