Ho da poco cambiato casa.

Per una serie di motivi davvero poco interessanti per chi non voglia prendersi la briga di conoscere i miei processi mentali, posso dire che così come mi abituo in fretta al nuovo luogo dove il destino ha deciso che mi fermassi, altrettanto rapidamente dimentico quello abbandonato.


Tutto ciò, in ogni caso, non mi evita la lunga sequela di considerazioni su quanto prima fosse meglio: niente di nuovo, il cervello opera secondo un principio generale di economia e i cambiamenti, per essere vissuti come la rigenerazione di una vita oramai sempre uguale a sé stessa, devono essere “aiutati”, c’è bisogno in sostanza di un minimo di impegno e voglia di scoprire i lati positivi della novità in atto. Come a dire che la battaglia contro sé stessi non termina mai.
Ad esempio, la nuova casa mi porta a prendere il pullman ad una fermata in corrispondenza di un’università e due scuole secondarie, per cui si svuota di tutti i discenti e, a differenza di “prima”, posso salire su un mezzo pubblico e non su un carro bestiame che, diciamocelo, è un evento che ben predispone alle fatiche successive.


Altri piccoli particolari, solo all’apparenza insignificanti, vanno a costruire la nuova sistemazione come “quella giusta”, e non ne farò l’elenco. Ciò che può essere utile, semmai, è l’atteggiamento: alcuni potranno pensare che si tratti del classico farsela andar bene, in realtà è un processo di adattamento che parte dall’osservazione di quanto di buono ci sia già, processo che libera energie necessarie per modificare ciò che invece non ci piace.


Ma perché nel titolo mi domando se la gentilezza ci salverà tutti? Che c’entra con quanto sino ad ora scritto?


Da quando mi sono trasferito, mi capita spesso di incontrare al ritorno della transumanza mattutina (accompagno il pargolo a scuola) un ragazzo che abita nell’altra scala, che esce per andare a scuola (da solo, questo mi fa ben sperare che prima o poi la mia transumanza mattutina avrà termine, per quanto mi faccia piacere portare il pargolo a scuola).
Penso abbia 16 o 17 anni, e invariabilmente, con la pioggia o con il sole, quando ci incrociamo mi saluta sempre per primo e mi sorride. Stamattina mi ha addirittura atteso per tenere il portone aperto, “buona giornata!” e un sorriso sincero.
Non so se vi sia mai capitato, penso proprio di sì, ma avete fatto caso come questi piccoli atti di gentilezza abbiano in sé un potere incredibile? Un saluto ed un sorriso. Sinceri, non affettati, semplice cortesia. Tutto ciò scatena invariabilmente una serie di sensazioni fisiche di benessere che invito a notare e a ricordare. Personalmente, migliorano la mia giornata. Eviterò l’elenco di tutti pensieri che si generano per ricordare solo il piacere che provo in questo piccolo atto di gentilezza, che tra l’altro ricambio con entusiasmo (e se non è un alieno, immagino che di ritorno anche a lui faccia piacere).

La raccomandazione di compiere piccoli atti di gentilezza durante la giornata è una di quelle inflazionate sui libri di auto aiuto, coaching, psicologia pratica…
Beh, provare per credere, magari sarà proprio la gentilezza a salvarci tutti quanti.

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