In un carcere pronto per essere chiuso, arriva una disposizione inattesa: resteranno dodici detenuti e alcune guardie carcerarie, in attesa del trasferimento dei prigionieri. Non c’è spazio per alternative, la macchina burocratica della giustizia, nelle sue lentezza, va servita. Così Gaetano (T. Servillo), il più anziano del gruppo, assume il comando di questa situazione kafkiana, mentre i detenuti mostrano segni di nervosismo, per le poche informazioni sulla loro nuova destinazione. Tra i criminali c’è Carmine Lagioia (S. Orlando), leader naturale e indiscusso del gruppo e altri uomini, di diverse provenienze geografiche e imputazioni differenti. Il contesto penitenziario, in questa fase di stallo, potrebbe facilmente trasformarsi in una rivolta carceraria, per esempio per questioni apparentemente banali, come la qualità del vitto. Gaetano e Lagioia, sulle sponde opposte della barricata, ingaggiano un duello a distanza, in cui ognuno, a suo modo, cerca di mediare. Tuttavia non è semplice e l’apice della tensione si consuma in una serata di blackout, che lascia la prigione al buio.
Leonardo Di Costanzo (“L’intervallo”, “L’intrusa”) sceglie un tema insolito per il cinema italiano, la condizione carceraria, e vince una scommessa importante. Racconta una vicenda immaginaria, a metà strada tra “Il deserto dei Tartari” e “Aspettando Godot”, dove l’attesa si dilata e sembra perdersi, cristallizzando un presente doloroso. Solleva molte questioni, come l’umanità e la tenerezza in un istituto carcerario, non dà risposte e osserva con finezza psicologica l’evoluzione dei personaggi. Possono i criminali mostrare un lato sensibile? E le guardie carcerarie uscire dagli obblighi dei loro doveri istituzionali?
Ottima compagnia di attori, in cui, oltre a Servillo e Orlando, vanno almeno citati Salvatore Striano e Fabrizio Ferracane.
Una bella prova del nostro cinema. Da vedere!
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