Un ragazzo (F. Gheghi) viene rapito e trascinato su una nave. A farlo è Minuto (A. Gassmann), uomo spietato e taciturno, che spiega al giovane che cosa lo aspetta: allenarsi per combattere, starsene in una cabina-cella e niente altro, fino al primo incontro. Scopriamo così un mondo parallelo di combattimenti clandestini, durante i quali si scommette molto denaro, ma in cui c’è soprattutto una sola brutale regola: vince chi sopravvive. Batiza, così sceglie di chiamarsi il giovane in questa sua nuova vita, all’inizio riluttante e spaventato, scivola progressivamente in un girone infernale di violenza.
Se si accetta il principio di sospensione dell’incredulità, per guardare questo film ci vuole stomaco forte e pazienza (non è tutto chiaro nella narrazione per lungo tempo). Dopo un’ora, la storia si ribalta, lasciando intravedere uno spiraglio di luce, mentre i fantasmi del passato, di Minuto e Batiza, riemergono progressivamente. Epilogo nerissimo.
Mauro Mancini, che nel 2020 aveva firmato “Non odiare”, torna dietro la macchina da presa con un film crudo, brutale, virulento. Sceglie una narrazione che alterna combattimenti feroci a dialoghi asciutti, spesso sospesi o che evaporano in fretta. Fotografia splendida, plauso agli interpreti: il giovane Francesco Gheghi (teniamolo d’occhio, ormai è più che una promessa) e un Alessandro Gassmann di rara intensità. Da citare anche Fotinì Peluso e un luciferino Renato Carpentieri.
Tratto dall’omonimo romanzo di Paola Barbato, sarebbe facile liquidare il film come un semplice apologo sulla violenza. E’ anche una storia di espiazione, redenzione, perdono, senso di colpa. Qualche forzatura nella sceneggiatura, forse, ma per quanto disturbante, ci affascina nelle pieghe dei nostri lati più oscuri.
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