E anche questa edizione degli Academy Award, il premio più ambito a Hollywood, ma direi nel mondo del cinema in generale, ce la siamo lasciata alle spalle. Ha visto trionfare il film “Everything Everywhere All at Once”, di Daniel Kwan e Daniel Scheinert, che si è portato a casa ben 7 statuette, su 11 candidature: film, regia, sceneggiatura, 3 premi agli attori e montaggio. Probabilmente tutte più che meritate, mi limito a sottolineare alcune cose. Sono tra i pochi, nel mondo (presumo), a cui il film non ha fatto per nulla impazzire: forse dovrei rivederlo, ma l’ho trovato una compiaciuta e calcolata masturbazione cerebrale di 2 h e 20 minuti.

Tutto impeccabile esteticamente, gran livello di recitazione, ma per me è la storia che è paradossalmente banale, a tratti noiosa. E la storia, non dirò di più, gira intorno al tema del multiverso e delle realtà parallele. Suggerisco per chi è abbonato al Post, o ha un amico che lo è, di ascoltare la recensione di oggi di Matteo Bordone, ne ho apprezzato l’equilibrio. Chiudo con due sottolineature: Ke Huy Quan, migliore attore non protagonista, ormai lo sanno tutti, ma mi ha flashato quando l’ho scoperto una settimana fa, era il piccolo Shorty nel film “Indiana Jones e il tempio maledetto” (non ha a caso, con Harrison Ford, si sono abbracciati in sala tra le lacrime). E la sua storia di profugo vietnamita arrivato in America, è davvero la quintessenza dell’american dream!
La seconda è il plauso per Jamie Lee Curtis, che vince un Oscar e lo dedica ai genitori scomparsi, le leggende del cinema Tony Curtis e Janet Leigh. Ha dimostrato che ha un talento notevole, anche se tanti finora la ricordavano per alcuni suoi cult movie horror e per il suo ruolo di prostituta dal cuore d’oro a 25 anni, in “Una poltrona per due”. E con questo secondo ricordo dei film della mia infanzia, chiudiamo il capitolo principale.

Oggi c’è già chi parla di svolta nel Cinema, di segno dei tempi, di nuova era che comincia. Vedremo, non c’è fretta.
Che dire del resto? Non molto altro, perchè poco è rimasto: Brendan Fraser vince come protagonista per “The Whale” (ho già scritto su questo blog cosa penso del film), confermando che i ruoli da malato cronico/terminale o “mostruosi” la spuntano quasi sempre. Lui molto bravo, non c’è da dissentire, ma ammetto che tutti e cinque gli uomini in gara quest’anno erano stati notevoli.

Il miglior film internazionale è andato, meritatamente, a “Niente di nuovo sul fronte occidentale”, che ha conquistato anche fotografia, scenografia e colonna sonora. La miglior pellicola di animazione al “Pinocchio” di Guillermo Del Toro, ma non avendolo visto non mi esprimo. Per la stessa ragione non commento, ma sono curioso, la miglior sceneggiatura non originale per “Women Talking”, che è stata vinta da Sarah Polley.

Vale la pena ripescare, per chi se li è persi, film rimasti a bocca asciutta come “Tár”, “Gli spiriti dell’isola”, “Elvis”, “Aftersun”, “Close”.

Ci rivediamo l’anno prossimo, perchè è il cinema, bellezza!

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