Biografia romanzata di Eduard Limonov (1943-2020), dalla giovinezza in Ucraina e il lavoro in fabbrica come operaio, alle prime poesie scritte e il trasferimento a Mosca. Poi anni a New York dove si innamora della bella Elena (V. Mirošničenko), continua a scrivere senza molto successo, vive ai margini della società e poi diventa maggiordomo di un ricco signore. Solo anni dopo arrivano il successo, il ritorno in Russia, la fondazione di un partito nazionalista. In realtà la vita di Limonov (nel film, B. Whishaw) è stata ancora più rocambolesca, come racconta bene l’omonimo romanzo di Emmanuel Carrère (che appare in un cameo nella parte di se stesso), pubblicato in Italia da Adelphi nel 2012. Se non lo avete letto, fatelo!
Kirill Serebrennikov dirige e mette anche mano alla sceneggiatura di un film complesso: 138 minuti dove la dimensione estetica (grande lavoro sulla fotografia e sulla ricerca cromatica), come anche quella musicale hanno una grande importanza. Paradossalmente, nella storia raccontata con passo lento e a volte dilatato, non succede poi tanto: immagini, schizzi, istantanee, passaggi spesso rapsodici, momenti onirici e surreali. Forse non poteva essere diversamente, a meno di non fare un film di 6 ore, o come ha scritto qualcuno su Mymovies, una serie.
Ne esce il ritratto di un uomo fatto di mille contraddizioni, collerico, geniale, megalomane, libertino, provocatorio, anticonformista, intelligente quanto folle, autodistruttivo, eccessivo, controverso. Probabilmente indefinibile nelle etichette a cui siamo abituati. L’interpretazione di Ben Whishaw è una delle carte migliori del film. In definitiva può disturbare e anche affascinare, ma non lasciare indifferenti. Come faceva Limonov, del resto.
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